Cosa si intende per economia della felicità? Un modo di fare impresa che si pone come obiettivo non soltanto la produzione di ricavi ma anche quello di generare valore sociale, benessere, gratificazione, serenità e soddisfazione per tutti i soggetti che partecipano dell’azione dell’impresa sul mercato: l’imprenditore, i suoi collaboratori, gli stakeholders dell’impresa, i clienti, i fornitori, il territorio.
Di economia della felicità si è parlato oggi, alla Facolta di Giurisprudenza, nel corso del convegno nazionale organizzato da Terziario Donna Confcommercio. Le imprese che in Italia fanno “consapevolmente” economia della felicità sono oltre 400 mila, più dell’11% del tessuto delle imprese italiane (escluse le imprese agricole e le imprese finanziarie). 9 su 10 sono micro e piccole imprese dei servizi e del turismo del Nord Ovest e Nord Est del nostro paese. Protagoniste sono le imprenditrici femminili. Le imprese di donne, più delle altre, diffondono economia della felicità soprattutto in termini di autorealizzazione, capacità di mettersi in gioco, cura dell’immagine della propria impresa, valorizzazione del territorio e mantenimento delle tradizioni.
Infatti il 46,5% delle donne capitane di impresa si sentono realizzate come imprenditrici contro il 34,6 % dei “colleghi” maschi, però sono un po’ meno ottimiste degli uomini sul futuro rispetto al proprio ‘status sociale’ per merito dell’attività di impresa. Il 58,5% delle imprese femminili, rispetto al 54,7% delle imprese tutte, ritiene importante migliorare la soddisfazione dei clienti attraverso la qualità dei propri prodotti/servizi.
Le imprese femminili sono più consapevoli del concetto di “sostenibilità ambientale”: 74,0% contro la media delle imprese pari al 70,7%. In tema di sostenibilità etica, ovvero sui temi della trasparenza, onestà, responsabilità nei rapporti con i clienti – fornitori, il 68,4% delle imprese femminili ha adottato, o è in procinto di adottare, delle policy specifiche.
Le imprenditrici, quasi 9 su 10, soprattutto nel Sud Italia, sono costrette a più rinunce e più sacrifici personali per avviare la propria attività lavorativa rispetto agli imprenditori tutti. L’attenzione ai dipendenti e ai collaboratori, oltre a quanto previsto dalla normativa, contribuisce a generare felicità ad esempio nei servizi il congedo di maternità e paternità prolungato per i dipendenti è previsto dal 43,7% delle imprese femminili.
“Economia della felicità vuole essere una nuova visione imprenditoriale e una nuova prospettiva di mercato con lo sguardo rivolto al cambiamento in atto non solo nel tessuto economico, ma anche nella società, vuole essere un modello di crescita che realizzi l’armonia tra sviluppo, ambiente, territorio e le persone che ci vivono – commenta Patrizia Di Dio, presidente di Terziario Donna Confcommercio .
E’ arrivato il momento di sviluppare economia civile, economia “generativa” che abbia come obiettivo la salvaguardia dell’ambiente, che metta al centro l’essere umano, le relazioni tra persone e che tradotto per i nostri settori significa fare impresa che serva anche a migliorare la vita della gente. “Noi – conclude Di Dio – da tempo ci diciamo che dobbiamo coniugare tradizioni e territori, innovazione e ricerca, cultura e design, natura e ambiente, profitto e socialità. Noi vogliamo un rapporto stretto tra benessere e sviluppo, economia e democrazia, bellezza e umanesimo, progresso e sostenibilità, responsabilità e socialità, qualità della vita e comunità, etica e felicità. Noi crediamo che questi sentimenti tra loro diversi possano unirsi in una visione globale dove il valore centrale va al di là del Pil. Insomma si deve valutare il valore sociale oltre al valore economico. Il valore generativo anche di felicità”.
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