Un appello che ha il sapore della denuncia, così la lettera di Elisa e Giovanni Parrinello, figli di Vito, storico fondatore del teatrino Ditirammu, casa della cultura popolare siciliana, a Palermo, hanno scritto nero su bianco che non ce la fanno più a sostenere, a proprie spese, i costi di una struttura che nonostante il suo alto valore culturale non ha ha i sostegni, in termini economici, che dovrebbe avere.
Da qui la scelta drastica di chiudere le porte per capire se qualcosa è possibile che cambi o altrimenti se il passo indietro e l’arrendersi diventa l’unica scelta possibile. L’annuncio degli eredi di Vito Parrinello, scomparso lo scorso mese di giugno, ieri sera a conclusione stagione de “Il Baglio di Vito”.
“Oggi – scrivono – questo luogo é diventato un tempio della cultura popolare siciliana e fucina delle nuove generazioni, e chissà per quanto potrebbe dare questa speranza alla città. Lo dite voi, il Financial Times, lo dice il primo cittadino di Palermo, anche su Google c’è scritto.b Purtroppo questo non basta, negli ultimi anni pur di dare la giusta dignità agli artisti, ai dipendenti, alle migliaia di turisti che ogni giorno vengono a farci visita, e alle nuove generazioni, utilizziamo le risorse economiche di famiglia – sottolineano -. Anche se questa è stata una nostra scelta, va bene fino ad un certo punto. Quando nostro padre sedeva per ore ad aspettare il politico di turno, capitava pure che dopo ore di attesa neanche lo ricevessero, sai che rabbia. ‘Al diavolo, vado con i ragazzi della LapaTeatro a fare cappello, loro guadagnano qualcosa e io sono il nonno piú felice del mondo, altro che politica, affitto, tasse ed F24’. Ci diceva sempre: “Io volevo solo suonare la chitarra e sentire vostra madre cantare”.
“E allora facciamo quello che pensava di fare Papà, sospendiamo tutte le attività del Ditirammu: magari è vero Palermo non ha bisogno di noi. Troppa bile, qui rischiamo davvero la pelle, arte a costo della vita? No grazie – continuano -. Innanzitutto non riusciamo a sostenere i costi del Teatro. Non è una guerra alla pubblica amministrazione, alla quale tuttavia chiediamo coerenza rispetto alle tante e univoche espressioni di stima e riconoscimento dell’alto valore del Ditirammu, per la città e la cultura siciliana. Spetta alla pubblica amministrazione trovare i modi per trasformare questo apprezzamento in sostegno e decisioni concrete che mettano in condizioni di vivere questo ‘Canto Museo Teatrale’. Al nostro pubblico, agli amici, ai tanti artisti, agli assistenti ai collaboratori agli allievi, e alle nostre famiglie, chiediamo di starci vicino ora più che mai, tenere alta la tensione e l’attenzione sulle nostre vicende, sarà nostro dovere quello di tenervi informati con tutti i mezzi possibili. Abbiamo bisogno di capire se ci sono i presupposti per tenere aperto il “tempio” oppure farsi una nuova vita, magari in una nuova città. Al momento ci sentiamo di esternare il nostro malcontento dicendovi che siamo arrivati al limite, e con grande tristezza lasciamo pubblico, allievi e dipendenti a casa” concludono.
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