“Il maxiprocesso è stato un obbrobrio, perché il processo deve essere il più possibile modellato sulla persona. Deve accertare la responsabilità del singolo e non fare vendetta?”. E’ quanto sostenuto dalla docente di Procedura penale dell’Università di Palermo, Daniela Chinnici, introducendo un incontro organizzato dagli studenti di Giurisprudenza, che hanno invitato il magistrato Nino Di Matteo a discutere di lotta alla mafia dal ’92 all’arresto di Matteo Messina Denaro.
“Una novella di mezza estate cambia tutto – ha aggiunto la professoressa nel definire la risposta dello Stato alle stragi di mafia -. Il Codice di procedura penale risponde all’emergenza che la gente sentiva”. La professoressa ha sottolineato: “Ben
vengano i poteri rafforzati di chi fa le indagini, ma nei processi ai mafiosi devono esserci le stesse garanzie e gli stessi diritti dei processi ai ladri di auto”.
Ma per Di Matteo “nei processi di mafia non c’è stata mai alcuna violazione dei diritti di difesa, lo dicono le tante assoluzioni che pure sono arrivate. E’ inaccettabile che uno dei pilastri della lotta alla mafia quale fu il maxiprocesso venga definito un obbrobrio. Un insulto alla memoria di Falcone e Borsellino, che avevano il culto delle regole dello stato di diritto”. Quanto accaduto nell’aula Chiazzese della facoltà di Giurisprudenza è riportato oggi da Repubblica-Palermo.
“Non capisco perché questa reazione. Quando dico queste cose ai miei studenti ci capiamo. Non sto parlando del maxiprocesso, ma dei maxiprocessi in genere che sono congegni eversivi del sistema”. Di Matteo interviene di nuovo: “Quei congegni eversivi del sistema hanno consentito non solo il maxiprocesso, ma anche altri processi importantissimi. Ritengo queste parole inopportune, anche per l’estremo sacrificio della vita costato a tanti servitori dello Stato”.
La prof spiega che il termine eversivo ha il significato di “scardinare la logica del sistema” e cita il professor Giovanni Tranchina, preside di Giurisprudenza durante il primo maxiprocesso alla mafia, che definì «processi mastodontici che non danno alcuna grande garanzia nell’accertamento della verità”.