Il giudice del Lavoro Santina Bruno ha condannato il Comune di Palermo a revocare il trasferimento di Gianfabio Munacò, dirigente sindacale della Fp Cgil di Palermo, e componente della RSU del Comune di Palermo, dal reparto “staff del comandante”, nucleo “accertamenti e ricerche”, in piazza Giulio Cesare al servizio sicurezza sedi e controllo stradali in via Dogali perché preso in violazione dell’articolo 22 dello Statuto dei Lavoratori senza il nulla osta del sindacato.
Il ricorso era stato presentato dalla Cgil funzione pubblica.
“Il trasferimento di Monacò Gianfabio sia potenzialmente idoneo – scrive il giudice – a ridurre la sua capacità di controllo e di partecipazione alla realtà lavorativa di provenienza e, pertanto, avrebbe dovuto essere sottoposto al nulla osta da parte dell’organizzazione sindacale di appartenenza”.
Il Comune deve revocare il provvedimento e pagare le spese legali.
“In riferimento alla notizia del sindacalista trasferito, si ritiene di dover precisare che il procedimento instaurato dalla organizzazione sindacale Cgil a tutela delle posizioni del rappresentante sindacale oggetto della sentenza – dice il comandante Gabriele Marchese – è soltanto frutto di un equivoco interpretativo da parte della stessa organizzazione sindacale e da conseguenti successivi atti diversi da quello impugnato. E’ in corso da parte dello scrivente Comando un chiarimento rispetto alla collocazione del dipendente che aveva comunque concertato col Vice Comandante, una assegnazione di servizio presso altra sede, in maniera totalmente autonoma e senza informare il Comando dell’avvenuto accordo che aveva portato all’impiego in sede diversa da quella disposta dal Comandante”.
“Peraltro detto trasferimento corrisponde ai principi già conosciuti dalle organizzazioni sindacali, in quanto oggetto di nota protocollo
56831 del 24.01.2017, a firma del responsabile del Settore Risorse Umane – Capo Area dell’epoca che disciplina all’interno dell’ente il
trasferimento dei dirigenti sindacali RSU. Detta nota non è stata mai impugnata dalle organizzazioni sindacali e resta comunque ferma e ribadita ogni assegnazione del rappresentante dirigente sindacale che sia conforme ai principi consolidati dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 14196 del 12.07.2016) e che comunque sono stati posti in essere nel provvedimento originariamente sottoscritto dal Comandante – aggiunge il comandante Marchese -Al contempo, spiace rilevare la posizione assunta dal segretario provinciale della organizzazione di categoria, Giovanni Cammuca che, piuttosto che adoperarsi per chiarire l’equivoco, ha ritenuto opportuno, a fronte di relazioni sindacali consolidate, agire in giudizio senza voler assolutamente confrontarsi in via preventiva e risolvere l’equivoco, probabilmente suscitato in modo strumentale.
Sicuramente un diverso approccio da parte del segretario provinciale della funzione pubblica rispetto alla problematica emersa, avrebbe
evitato ogni malinteso del quale mi dispiaccio e chiedo scusa e del quale sicuramente si porrà rimedio, nonostante la indisponibilità
del segretario a discutere preventivamente e chiarire ogni equivoco, determinato da posizioni concordate dallo stesso dipendente con il
dirigente del servizio di ultima assegnazione. Quanto accaduto denota uno scarso senso di condivisione degli obiettivi comuni che sono quelli della corretta attività all’interno del Corpo finalizzata a un miglioramento complessivo dei servizi alla città e siffatte procedure non sono ascrivibili alla portata ed alla storia della CGIL, sindacato al quale lo scrivente risulta peraltro a tutt’oggi iscritto”.
La vicenda inizia l’estate scorsa quando, a luglio, il comandante della Pm, senza richiedere il previsto e prescritto nulla osta, trasferisce il dirigente sindacale della Funzione pubblica Cgil.
Il sindacato chiede subito la revoca del provvedimento, facendo appello alle tutele di chi svolge attività sindacale. Ma il provvedimento va ugualmente avanti. La Fp Cgil presenta così ricorso per il riconoscimento del comportamento antisindacale, previsto dall’articolo 28 dello statuto dei lavoratori.
“Da qui la condanna a revocare il provvedimento e a pagare le spese processuali, la cui responsabilità è da attribuire esclusivamente al dirigente che, incurante delle norme vigenti e delle richieste di revoca del provvedimento illegittimo fatte dalla Fp Cgil e dalla Rsu, ha ritenuto di andare dritto per la sua strada – dichiara il segretario generale della Fp Cgil Palermo Giovanni Cammuca – In un momento in cui si sono aperti diversi tavoli tematici di confronto in un costruttivo clima di dialogo fra l’amministrazione comunale di Palermo e le organizzazioni sindacali, chiediamo al sindaco Orlando di disporre l’immediata revoca del trasferimento illegittimo e di vigilare affinché comportamenti come quello oggi sanzionato, posti in essere da singoli dirigenti, non incrinino il sistema delle relazioni sindacali”.
I giudici, nella sentenza, riprendendo un principio sancito dalla Cassazione, spiegano perché un dirigente sindacale non può essere trasferito senza il nulla osta dell’organizzazione sindacale di appartenenza.
“L’esigenza del nulla osta – recita la sentenza del giudice, che ha accolto il ricorso – nasce dalla volontà del legislatore di evitare che l’inclusione del dirigente sindacale in una realtà produttiva diversa ed autonoma impedisca, proprio per la netta separazione fra l’ambiente lavorativo di provenienza e quello di destinazione, ogni contatto con la base e con la realtà produttiva in cui il dirigente ha svolto fino a quel momento la propria attività sindacale”.
“E’ evidente, infatti – continua la sentenza – come la distanza, anche fisica, dal precedente ambiente di lavoro, riduca fortemente la capacità del sindacalista di comprendere e tutelare le istanze dei lavoratori addetti a quell’ambiente lavorativo. Tanto premesso, deve ritenersi che il trasferimento sia potenzialmente idoneo a ridurre la sua capacità di controllo e di partecipazione alla realtà lavorativa di provenienza e, pertanto, avrebbe dovuto essere sottoposto al nulla osta da parte dell’organizzazione sindacale di appartenenza”.
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