Un dibattito sul “Genio infelice”, ultima fatica letteraria di Carlo Vulpio sul genio del pittore Antonio Ligabue, si è svolto presso l’oratorio Sant’Elena e Costantino, alla presenza del direttore della Fondazione Federico II Patrizia Monterosso e della storica dell’arte Silvia Mazza. “Uno scarto, un rifiutato – così l’autore ha definito l’artista – uno spettacolo vivente di dolore, a causa delle crisi epilettiche che lo “possedevano”, secondo l’etimologia greca stessa della malattia”.
La presentazione del libro anche a Palermo è avvenuto su invito del direttore della Fondazione, Monterosso, che è riuscita a trasmettere alla città il messaggio sulla la necessità di non girare le spalle alla marginalità, da sempre nel Dna dell’Isola e che nel corso della sua storia si è trasformata da debolezza in forza e ricchezza. Ligabue, in quest’ottica, da “Cenerentola” della storia dell’arte contemporanea italiana assurge ad emblema di una “diversità” che nonostante tutto non si arrende.
“Ligabue – ha osservato Monterosso – è vissuto in un epoca in cui qualsiasi atteggiamento esistenziale e culturale non ascrivibile ad un modello riconoscibile veniva rifiutato e marginalizzato, tacciato di follia e sottoposto ad elettroshock. Attraverso l’arte, è riuscito ad esprimere la sua personale ribellione contro i cliché sopraffacenti e la sua visione del mondo”.
“E’ un artista – ha continuato Vulpio – la cui vita, più di chiunque altro, riesce a spiegare la sua arte. Non ha conosciuto l’amore, la fisicità, è stato rifiutato, cacciato dalla Svizzera, due volte ricoverato in ospedale, idiosincratico nei confronti della tosse, degli insetti, capaci di scatenare le crisi epilettiche che lo facevano tacciare di essere matto. La sua unicità consiste nell’essersi ribellato agli schemi e la sua arte non è incasellabile . Non può essere definito un naif, perché la sua non è una pittura tranquillizzante ma destabilizzante. E’ il genio di schopenhaueriana memoria che col suo sguardo riesce a squarciare il velo dell’esistente. Attraverso l’arte ha catalizzato le energie vitali che lo animavano, destinate, altrimenti, ad essere soppresse dai drammi sopraffacenti”.
“Il suo capolavoro “La vedova nera” – ha detto Silvia Mazza – rappresenta la drammaticità della lotta per la sopraffazione cui nessuno riesce a fuggire. Ligabue è riuscito ad imporre una legge contro natura, cioè il vinto, il rifiutato sarà ricordato in eterno”. Una consapevolezza viva nel pittore che diceva “Un giorno sarò presente nei maggiori musei del mondo”.
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