Prestiti fino a 25mila euro per garantire liquidità alle piccole e medie imprese, fino al 25% del fatturato o al 50% del costo del personale per le altre aziende italiane in crisi per colpa dell’emergenza Coronavirus. Prestiti garantiti dallo stato attraverso SACE (Società per i servizi assicurativi e finanziari italiani per il commercio estero e l’export) e Cassa depositi e prestiti ma fino al 90% del rischio per le imprese sotto i 5000 dipendenti, fino all’80% per le imprese sopra i 5000 dipendenti e fino al 70% per quelle con un fatturato al di sopra dei 5 miliardi.
I prestiti saranno rilasciati dalle banche che avranno il Governo come garante. Il decreto liquidità alle imprese ha messo in campo 400 miliardi, metà per garanzie ai prestiti per le aziende e l’altra metà di garanzie ai prestiti per dare liquidità alla filiera dell’esportazione.
Il governo ha anche attivato la vigilanza per evitare azioni speculative che vengano dall’estero per acquisire aziende strategiche italiane deprezzatesi per via della crisi.
Si tratta in tutto e per tutto di aiuti di Stato in condizioni di emergenza che potranno essere erogati fino al 31 dicembre 2020 e non oltre ma pur sempre di prestiti. Le aziende dovranno, poi rimborsare quanto ottenuto in un massimo di sei anni anche se con una moratoria iniziale che potrà arrivare fino a 24 mesi.
In prima analisi il Governo ha escluso da questi aiuti le aziende che risultavano già insofferenza al 31 dicembre 2019. Una scelta che se da un alto può avere una logica dall’altro diventa una mazzata per queste aziende.
Restano da chiarire i tassi di interesse applicati dalle banche e le modalità con le quali questi prestiti saranno erogati. C’è il rischio, infatti, che le banche non concedano i prestiti a chi è già incorso in problemi e si trova inscritto alla centrale rischio oppure a chi non ha un documento unico di regolarità contributiva in regola. Vicende che possono essere legate anche alle ultime settimane e che potrebbero lasciare fuori dai prestiti chi sta già pagando il prezzo di questa crisi indotta dalle scelte anti Coronavirus.
Ma alla fine di tutto questo, al netto degli aiuti alimentari ai nuovi poveri creati da questa situazione, chi pagherà il conto? Sempre e comunque l’Italia che produce. Le aziende, infatti, dovranno restituire questi prestiti ottenuti in emergenza e dovranno farlo con gli incassi della ripartenza che già si annuncia lenta e difficoltosa con la forte probabilità che ci vogliano anni per tornare ai livelli di produttività pre Coronavirus.
Dunque le aziende si troveranno a pagare i mesi di stop a rate in un periodo di minori introiti. Una situazione che rischia di essere fatale per molte di queste imprese o comunque letale per il mondo del lavoro. Aziende che prevedibilmente non ce la faranno a pagare i conti ricorreranno inevitabilmente alla riduzione della forza lavoro in varie modalità.
Dunque non chiamateli aiuti alle imprese. Diciamo piuttosto che saranno le imprese ad aiutare l’Italia e magari anche le banche.
Intanto Abi, Anci e Upi hanno sottoscritto un accordo per la sospensione per un anno della quota capitale dei mutui dei Comuni e delle Province. I Comuni e le Province potranno chiedere alle banche, che aderiranno all’accordo, la sospensione per un anno della quota capitale delle rate dei finanziamenti che scadono nel corso del 2020. In questo modo i Comuni e le Province potranno disporre di liquidità aggiuntiva per sostenere le maggiori spese conseguenti agli effetti indotti dalla diffusione del COVID-19.
In corso, poi, trattative fra Stato e Regione per l’azzeramento del contributo alla finanza pubblica che alla Sicilia costa un miliardo di euro l’anno. Con l’allentamento dei vincoli Europei lo stato nel 2020 non avrà l’obbligo di mantenere i conti entro i limiti e dunque anche la Sicilia chiede di avvantaggiarsi, per la sua quota, di questa facoltà non rilasciando il proprio contributo e usando i fondi liberati per interventi a sostegno di famiglie e imprese
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