Sarà un pronunciamento ‘spartiacque’ quello previsto domani da parte del Tribunale di Palermo, che deciderà sul contenzioso aperto dalla Regione siciliana con cinque gruppi bancari (Nomura, Merril Lynch, Bnl, Deutsche Bank e Unicredit) su altrettanti contratti derivati stipulati, all’inizio degli anni Duemila, a copertura di mutui, per un valore nozionale iniziale di circa 1 miliardo di euro, con perdite stimate di oltre 300 milioni.
Ma in ballo in realtà c’è “un intero sistema”, quello costruito sui rapporti tra enti pubblici e banche, operazioni concordate all’inizio del secondo millennio e che hanno comportato notevoli perdite per le casse pubbliche, perché in alcuni casi costruiti con artifizi finanziari che hanno comportato costi occulti da milioni di euro ed esposto gli enti pubblici a enormi rischi finanziari, come nel caso di Palazzo d’Orleans.
Il tema riguarda i cosiddetti “swap”, prodotti finanziari stipulati dagli enti con scopi prevalentemente di copertura di oscillazioni dei tassi d’interesse su mutui contratti dalle stesse amministrazioni pubbliche, trasformati invece dalle banche in strumenti particolarmente complessi al fine di aumentare il potenziale guadagno delle stesse e ridurre al minimo quello delle amministrazioni pubbliche.
“Schema che – dice l’esperto di derivati e finanza internazionale Damiano Colnago – è stato applicato dagli istituti finanziari a livello mondiale a danno di enti pubblici e incaute imprese, spesso dietro il consiglio delle stesse banche che, come nel caso della Regione siciliana e del Comune di Messina, agirono prima come consulenti e poi come controparti dei contratti swap”.
L’eventuale giudizio del Tribunale, che si pronuncerà sul ricorso della Regione, potrebbe dunque avere conseguenze sulle procedure che gli enti possono assumere per chiudere i contratti.
A fine ottobre, però, il comune di Messina, dopo un lungo contenzioso, ha firmato col gruppo franco-belga Dexia una transazione per la chiusura anticipata di un derivato, con scadenza 2036, che costerà ai contribuenti in totale circa 13 milioni di euro: 4 milioni già corrisposti dal comune, più altri 8,6 milioni che Palazzo degli Elefanti verserà alla società per la chiusura del contratto.
Una intesa, avallata dall’ufficio legale del comune, che non tiene conto della recente sentenza delle sezioni riunite della Corte di Cassazione, che pronunciandosi su un ricorso del comune di Cattolica (Rimini), ha stabilito la nullità di tutti i contratti swap stipulati dalle amministrazioni pubbliche che includono un indebitamento, sotto forma di upfront, non approvato dagli opportuni organismi legislativi: consigli regionali e comunali. Proprio quanto accaduto per gli ‘swap’ siglati dalla Regione e dal comune di Messina: in entrambi i casi né l’Assemblea regionale né il consiglio comunale si pronunciarono sulla stipula.
Ma se il governo Musumeci ha fatto leva proprio sulla sentenza della Cassazione per portare in giudizio le banche nonostante sia pendente un altro procedimento a Londra dove si sono costituiti i gruppi bancari che rivendicano il rispetto dei contratti, il comune di Messina invece ha ignorato il giudizio degli Ermellini, firmando un accordo, con l’ok del consiglio comunale, contestato dall’ex consulente finanziario (a titolo gratuito fino al 2018) Giuseppe Cannizzaro, che aveva già supportato il Comune nella decisione di inviare gli atti in Procura, due anni fa, ipotizzando il reato di truffa (procedimento ancora aperto).
“Non metto in discussione la scelta di arrivare a un accordo – spiega l’esperto di finanza all’ANSA – ma quello firmato si basa su elementi economici errati. Si parla nella delibera di eliminazione del rischio per le prestazioni a venire e quindi di un ‘risparmio’ per le casse comunali di 35 milioni di euro, ma è un numero che non ha alcun fondamento”.
Non solo. I consiglieri comunali avrebbero ricevuto la documentazione solo pochi giorni prima del voto in aula, votando dunque un atto, sostiene il consulente finanziario, “senza avere le competenze economico-finanziarie per poterlo valutare e sulla base di informazioni economiche senza alcun riscontro”.
Per di più, l’accordo firmato dal comune con Dexia, si legge nella delibera, fa decadere i contenziosi in essere e considera validi e legittimi i contratti swap firmati a suo tempo.
“Sorprende osservare come da un lato la Cassazione sancisce (tra l’altro) l’illegittimità di ogni contratto firmato, come nel caso del comune di Messina, senza l’approvazione del Consiglio Comunale, mentre dall’altro – aggiunge Giuseppe Cannizzaro – l’amministrazione di Messina ne dichiara la piena legittimità”.
Secondo i calcoli del consulente, se il comune avesse portato in giudizio Dexia, facendo leva sulla sentenza della Cassazione, in caso di sconfitta avrebbe dovuto corrispondere, oltre all’importo concordato con l’intesa, al massimo 5 milioni di euro più spese legali; mentre in caso di vittoria in Tribunale, il comune non solo non avrebbe pagato un solo euro alla banca ma avrebbe recuperato pure i 4 milioni di euro già versati più interessi. Inoltre, sembrerebbe che l’esposizione debitoria sottostante fosse totalmente a tasso fisso.
In tal caso, come evidenzia Damiano Colnago, “il comune non sarebbe stato esposto ad alcun rischio di oscillazione dei tassi di interesse, e i derivati swap originari avrebbero esposto il comune a tale rischio assumendo la natura di contratti speculativi equivalenti a scommesse”.
La ristrutturazione di questo contratto, avvenuta nel 2007, sostiene Cannizzaro, ha aumentato le potenziali perdite massime per il comune di Messina, annullato le probabilità di profitto – se pur minime – previste dal contratto iniziale e di conseguenza trasformato una perdita probabile in una perdita certa.
A causa di questo derivato, firmato con Dexia (subentrata nel 2007 al 55% a Bnl), le perdite realizzate e subite dal Comune di Messina in seguito all’accordo sono di circa 13 milioni, mentre i contratti originali in assenza di ristrutturazione avrebbero addirittura generato un utile complessivo di 5 milioni.
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