Il Teatro massimo di Palermo sta attraversando una profonda crisi economica e sono sempre più insistenti le voci di tagli e “sacrifici” a discapito dei lavoratori. La gestione deve far tornare i conti visto un buco nel bilancio che si aggirerebbe attorno ai 3 milioni di euro di contributo mai versati dal Comune lo scorso anno e in bilico per quello in corso. E per chi è precario il futuro adesso è ancora più incerto. Per salvare la stagione del Teatro Massimo, infatti, serve salvare i quasi 300 posti di lavoro: 200 dell’area artistica, un centinaio di tecnici e una trentina di amministrativi. Tutti dipendenti essenziali per garantire la stagione del teatro dell’opera diventato nel mondo il simbolo di Palermo. Lo sa bene il sovrintendente Marco Betta che in questi giorni, riunione dopo riunione, conti alla mano, sta cercando di blindare la stagione rimodulando tutto quello che si può.
In tanti, tra cui molti ballerini precari, rischiano di perdere il lavoro all’interno del Teatro Massimo. Alcuni direttori d’orchestra sono stati invitati anche a ridurre il proprio cachet. Un buco di bilancio che provoca anche cambi di programma visto che si scelgono opere più economiche. Ora, come si legge su La repubblica, non è scontato che tutti i lavoratori arrivino alla stagione estiva del Massimo.
Tanti i precari presenti nel corpo di ballo dove si contano 15 danzatori a tempo indeterminato per 12 mesi l’anno, 7 part-time per 9 mesi e altri 18 tutti precari a tempo determinato, la maggior parte con contratti di soli due mesi. In tanti l’hanno spuntata recentemente portando il loro caso in tribunale. La nuova pianta organica è stata trasmessa al ministero lo scorso giugno e si attesta, per il triennio fino al 2023, su 380 unità. Ma l’ok dal ministero non è mai arrivato e così le 105 stabilizzazioni sono rimaste congelate. Così tra giugno e ottobre tanti lavoratori del teatro lirico vedranno i loro contratti scadere.
“Dopo due anni di pandemia e di rimodulazione in sicurezza di tutte le attività, la Fondazione Teatro Massimo si trova a fare i conti con una nuova situazione di emergenza. La mancata erogazione del contributo comunale del 2021 e l’incertezza su quello del 2022 mettono a rischio la vita del Teatro, i lavoratori e la programmazione”. È quanto si legge in una nota diffusa dall’ufficio stampa della Fondazione. Il sovrintendente Marco Betta ha presentato al consiglio di Indirizzo e successivamente alle Organizzazioni Sindacali le prime misure di contenimento dei costi.
Sono state già avviate rimodulazioni della programmazione nell’ambito di una necessaria riduzione delle spese complessive della Fondazione. Nonostante tutto, grazie alla solidità economica della Fondazione e all’equilibrio di bilancio per otto anni consecutivi, si potrà chiudere in pareggio il 2021. “Confido nella collaborazione dei lavoratori del Teatro ma anche in quella degli amministratori di questa città e del Paese – dichiara il sovrintendente Marco Betta – il Teatro Massimo è un grande patrimonio della comunità, custodisce una parte fondamentale dell’identità culturale e artistica del nostro paese che va difesa da tutti, ancor di più in un momento come questo”.
“Escludere i teatri e le istituzioni culturali dalle manovre di riequilibrio del bilancio comunale”, lo chiede la Consigliera comunale del Pd Milena Gentile”. L’esponente del Partito Democratico continua: “Così come è stato fatto per gli asili nido, altrettanto importante è che si escludano dai tagli previsti per risanare i conti degli enti locali anche le istituzioni culturali e teatrali. Non è da paese civile che la cultura venga messa in ginocchio dalla contabilità. Il governo nazionale agisca di conseguenza e consenta al Comune di Palermo di raggiungere un accordo che salvaguardi il diritto costituzionale alla cultura anche dei palermitani”.
Ed inoltre: “Istituzioni come il Teatro Massimo sono industrie, dove lavorano centinaia di artisti, musicisti, maestranze e amministrativi, con l’aggravante che mettere a rischio i teatri significa assestare un colpo basso al rilancio turistico di una città che ha fatto della cultura una cifra identitaria e che oggi più che mai ha l’obbligo morale di ritrovare nella offerta culturale uno dei suoi motori di sviluppo, a maggior ragione dopo la crisi pandemica che ha stremato tutto il comparto”.
Milena Gentile conclude: “Il pericolo che si corre è che senza lo slancio delle grandi istituzioni teatrali e culturali in genere, si spenga anche quel tessuto creativo e diffuso nei quartieri che, se non supportato, rischia la desertificazione. Oltre al ridimensionamento dei palinsesti, non possiamo consentire che saltino anche i progetti sociali come OperaCity, che ha visto zone come Danisinni rigenerarsi sull’impulso dato dal Teatro Massimo e a ruota dalle associazioni culturali che hanno reso accessibile l’Arte anche a chi ne era stato da sempre escluso. Colpire il mondo della cultura significa tradire il mandato costituzionale, significa privare la cittadinanza di un servizio essenziale, significa rinunciare a “preparare l’avvenire” della nostra Città”.