“L’occasione dei 50 anni dell’istituzione delle Regioni ordinarie consente anche ad una Regione speciale, insulare e meridionale, di offrire il proprio contributo al rilancio della Repubblica delle autonomie per un Paese più coeso e competitivo. Ci sono nodi antichi e recenti che vanno sciolti e questa ricorrenza deve costituire una grande occasione per ridisegnare un assetto ripartendo dal principio autonomistico che costituisce una delle grandi novità, ancora non interamente inverata, della Costituzione repubblicana”. Così si legge nel documento presentato dalla Regione Siciliana in occasione della cerimonia per i cinquantanni delle Regioni.
“La crisi economica post-pandemica ha colpito la Sicilia quando ancora non erano stati superati gli effetti della precedente crisi economica, rendendo ancor più pesante il mancato recupero di produttività – prosegue il documento -.C’è un’emergenza lavoro alla quale occorre far fronte, i dati evidenziano infatti che da febbraio 2020 nel Paese livello di occupazione è diminuito di oltre mezzo milione di unità e le persone in cerca di lavoro di quasi 400 mila unità, a fronte di un aumento degli inattivi di quasi 900.000 unità. L’effetto sui tassi di occupazione e disoccupazione è la diminuzione di oltre un punto percentuale in tre mesi. Con effetti ancor più gravi in Sicilia che evidenzia un grave decremento già rispetto allo scorso anno.
La pandemia da Covid19 e le conseguenze economiche congiunturali hanno determinato un aggravamento della già persistente precarietà sociale con effetti inibitori sul desiderio di avvenire. E tale perniciosa dinamica indotta dispiega le proprie spinte pregiudizievoli su famiglie ed imprese – si sottilinea -. Una crisi che se potrà avere effetti sostanzialmente analoghi sul piano quantitativo a quella sofferta al livello nazionale, incide su un tessuto economico ed imprenditoriale di gran lunga più debole e stressato sul piano finanziario, ma sopratutto con previsione di percussione più duratura, in considerazione dei ridotti e differiti margini di reazione alla crisi delle aree più fragili. Per invertire la tendenza sono necessari sostegni finanziari efficienti e tempestivi, proprio per far fronte agli effetti più devastanti e paralizzanti della chiusura delle attività e della vita sociale, ma sopratutto investimenti che rimettano in moto l’economia regionale che corre il rischio di avvilupparsi in una sindrome depressiva. Al riguardo non può sottacersi che l’UE sia intervenuta con tempestività nell’approntare le misure economiche per contrastare gli effetti economici della pandemia da Covid-19 ed introdurre meccanismi per la crescità . Misure economicamente imponenti per far fronte ad una crisi economica postpandemica che si appresta a essere la più grave dalla fine della Seconda conflitto mondiale e dagli esiti ancora assai incerti è per la forte concatenazione che si registra tra le misure di c.d. lockdown e le iniziative economiche necessarie per contrastare la pandemia (e limitarne l’impatto in termini di Pil e di perdita di posti di lavoro) e ciò si correla agli investimenti previsti nel green new deal e nell’economia circolare.
Ci sono due questioni cruciali nel rapporto con lo Stato che risultano irrisolte da decenni: quella dell’autonomia finanziaria e quella degli investimenti infrastrutturali e sul capitale umano. Su entrambi il Governo regionale ha imposto un’accelerazione ed una svolta.
Sul piano dell’autonomia finanziaria il Governo regionale ha fatto tutto ciò che doveva: è stato predisposto lo schema di norme di attuazione in materia cui rinvia l’articolo 27 della legge n. 42 del 2009 (che debbono sostituire quelle del 1965), incentrate su: corrispondenza tra spettanza del prelievo e funzioni, condizione di insularità, fiscalità di sviluppo. Norme di attuazione presentate nell’agosto del 2018 al Governo statale si era impegnato a vararle entro settembre 2019 e che, come confermato dal MEF nel confronto a lungo richiesto ed appena riaperto, dovrebbero vedere la luce entro l’autunno.
Sul piano degli investimenti infrastrutturali vanno riconosciuti i connotati del divario e ciò sulla base dei Conti pubblici territoriali, elaborati dall’Agenzia per la coesione territoriale dello Stato – prosegue -. Un divario inaccettabile e che la crisi economica post-pandemica, in assenza di correttivi adeguati, accentuerà pesantemente. Risulta quindi imprescindibile uno sforzo straordinario in termini di investimenti straordinari localizzati nel Sud ed in Sicilia, a partire da opere di rilevanza strategica come il Ponte sullo Stretto, per far fronte ad una crisi che sta dilaniando il Paese, manifestando dinamiche devastanti sul piano della coesione economico-sociale. Occorre precisarlo senza infingimenti: in carenza di una consistente ripresa del Sud e della Sicilia, l’Italia è destinata ad un rilancio precario ed instabile. Ma questa convinzione ancorché da più parti enunciata non emerge dai provvedimenti, pur copiosi di norme e di risorse, sin qui adottati6. La clausola che riconosce il 34 % degli investimenti al Sud sino ad oggi rappresenta un mero auspicio. Peraltro occorre precisare che, anche laddove fosse pienamente rispettata, alle condizioni date non consentirebbe che in tempi molto lunghi (per effetto delle misure, purtroppo solo in parte addizionali, esplicate dall’intervento straordinario e da quello dei fondi strutturali) il recupero del divario economico-sociale nel frattempo maturato. Si tratta di un obiettivo comunque significativo rispetto alle soglie conseguite in questi anni, che, tuttavia, non determina in termini sufficienti i presupposti della perequazione infrastrutturale, ma difende solo il diritto alla sopravvivenza del Sud. E tale percentuale dovrà esser rafforzata nell’allocazione delle risorse del c.d. Recovery plan che diviene l’ultima occasione per superare un divario che, come opportunamente sottolineato, costituisce il più grande fallimento dello Stato italiano”.
“Vi è poi la condizione di insularità (artt. 174 TFUE e ss. e 119 Cost.), che deve essere affrontata mediante puntuali misure di riequilibrio (continuità territoriale, fiscalità di sviluppo, incentivi e misure di sostegno allo sviluppo, perequazione infrastrutturale, regimi di aiuto etc.) – continua il documento -. Non si tratta soltanto di inverare principi ormai conclamati dal diritto europeo ed interno, ma di far fronte all’eguaglianza sostanziale dei cittadini ed alla parità di trattamento nel godimento effettivo dei diritti sociali alle situazioni di divario ed ai “costi dell’insularità” mediante misure concrete sul piano legislativo. L’Italia, dopo la Brexit, è divenuto il primo Paese europeo per il numero di cittadini insulari (oltre 6,7 milioni, quasi il 12% della popolazione complessiva tra Sardegna e Sicilia che è ormai la più grande isola europea) sui 17 milioni di insulari europei deve porre la questione della condizione di insularità tra le priorità delle politiche pubbliche. Ci sono tutte le premesse perché la Sicilia possa tornare a crescere utilizzando gli ingenti investimenti europei, quelli statali (se rispettosi della clausola del 34% e quando effettivamente disponibili), ritornando ad investire in infrastrutture materiali, strade ed autostrade, ma anche digitale, ed immateriali (conoscenza), ma sopratutto attraverso la fiscalità di sviluppo che può consentire, in linea con la condizione di insularità e le prerogative statutarie, di attrarre investimenti, operatori economici, “nuovi siciliani”. La Regione ha dimostrato di credere in questa prospettiva di ricostruzione a partire dalle ingenti risorse convogliate dalla legge di stabilità per il 2020, che in quanto extraregionali necessitano del tempestivo riscontro statale, e dal pieno impiego delle risorse europee. Ed in tal senso il caso dell’infrastrutturazione digitale che ha fatto della Sicilia, in appena due anni una delle aree più avanzate in Europa, è esempio virtuoso. Ma quel che è certo che il divario non può essere misconosciuto dalle misure statali di sostegno all’economia sopratutto ove, come nel Mezzogiorno, vi è l’incidenza determinata dal rilievo dell’economia non osservata e di quella priva di merito bancario, o, sul piano territoriale, emergono crescenti difficoltà di aree interne e montane o delle isole minori, in Sicilia ancor più provate dal morso della crisi. Dietro queste sintesi lessicali ci sono cittadini ed imprese di Sicilia che hanno diritto ad essere aiutati a superare difficoltà, ad intraprendere un percorso di crescita nella legalità e nell’equilibrio finanziario scongiurando che la crisi economica risulti esiziale.
Cruciali sono poi la modernizzazione e la digitalizzazione dell’amministrazione pubblica, la vera svolta della riforma amministrativa. La Sicilia, da un lato, si è dotata della più moderna legislazione in materia (l.r. n. 7 del 2019), della quale tuttavia occorre garantire la piena applicazione a partire dalle sanzioni per inefficienze e ritardi, dall’altro sta decisamente puntando verso la digitalizzazione, spinta anche dalla necessità di garantire lavoro agile e procedure informatizzate. Ma lo sforzo di modernizzazione dell’organizzazione amministrativa e della sua capacità di decidere in modo efficiente va accelerato. Si apre una fase nuova per l’economia della Sicilia, oggi appesantita dalla grave crisi post-pandemica e dalle misure di contrasto. Una crisi che, per la morfologia del tessuto economico ed imprenditoriale avrebbe avuto necessità di misure statali calibrate e specifiche, sebbene riequilibrate, per quanto possibile, dagli interventi regionali per famiglie, imprese ed enti locali finanziati con risorse extraregionali. Una crisi il cui esito può essere una nuova opportunità di lavoro, di impresa, di innovazione per gli italiani di Sicilia, in una Patria coesa.
Senza il coinvolgimento delle Regioni non solo non vi potrà essere l’auspicato rilancio economico-sociale del Paese, ma addirittura si genereranno effetti perversi di aggravamento del divario Nord-Sud che minano la competitività del sistema-Italia, mentre occorre disegnare un nuovo modello di sviluppo che rafforzi la struttura istituzionale policentrica e sistemica che guardi all’Europa delle Regioni. E’ nella Repubblica delle autonomie che l’Italia può trovare le corrette modalità per affrontare la crisi e superarla, costruendo un futuro sostenibile, rafforzando i meccanismi di leale collaborazione tra Stato e Regioni e di cooperazione tra queste, favorendo il pluralismo istituzionale, rifuggendo da ogni forma di centralismo, anche se correlato al contrasto alla crisi”.
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