Non esistono più i mafiosi di una volta. La mafia si evolve, muta, cambia identità e ora si istruisce e ottiene anche le lauree. Dai corleonesi, passati alla storia della mafia nostrana per il loro essere “viddani” e “peri ‘ncritati” (espressioni in dialetto che indicano contadini poco evoluti), ora la criminalità organizzata si butta sui libri.
È il caso di Alessandro D’Ambrogio, arrestato il 3 luglio del 2013. Il capomafia del mandamento di Palermo si trova in carcere al regime del 41 bis, ma questo non gli ha impedito di prendere una laurea in legge presentando una tesi proprio sul carcere duro e superando buona parte degli esami con la lode. C’è di più però. D’Ambrogio ora punta al secondo titolo accademico, questa volta in filosofia. Come riporta il Giornale di Sicilia il boss avrebbe già sostenuto i primi sei esami. Lo stesso percorso starebbe intraprendendo, il giovane nipote del “papa” di Cosa Nostra. Il ragazzo, arrestato nell’ambito di un’inchiesta che ha bloccato il tentativo della mafia di ricostruire la Cupola, sarebbe in procinto di iscriversi all’università.
In età troppo avanzata. Bernardo Provenzano era un grande lettore di libri. I fratelli Giuseppe e Filippo, capi di Brancaccio, si laurearono in matematica e in economia. Divenne dottore in filosofia anche Tommaso Spadaro all’età di 72 anni. L’Agnelli di Palermo, oggi deceduto, scontava la pena dell’ergastolo.
La laurea uno strumento di riscatto? Non sempre. Cesare Lupo si laureò il legge con una tesi sull’estorsione aggravata dall’agevolazione a Cosa nostra. Dopo pochi anni venne arrestato un’altra volta con l’accusa di aver imposto il pizzo.