Già nel 2016 avevo evidenziato l’inopportunità di spostare il dipinto dell’Annunciazione di Antonello da Messina in un articolo pubblicato su ‘Il Giornale dell’Arte’, criticando le scelte dell’allora Soprintendente di Siracusa Rosalba Panvini che reagì presentando una querela per diffamazione nei miei confronti. Il 7 dicembre scorso il GIP di Torino, ritenendo meritevole di accoglimento la richiesta del P.M., l’ha archiviata.

 

Alla notizia ha dato risalto Gian Antonio Stella su ‘Il Corriere della Sera’. Rivolgendosi a politici di destra e di sinistra, leghisti o grillini, a quella stessa politica che pretende di saperne di più dei tecnici in materia di pellicole pittoriche, Stella è stato chiaro: ‘è così comodo poter intimidire un giornalista e non pagare prezzo…’.

La coincidenza temporale non può, dunque, che convincermi a intervenire di nuovo nel dibattito sui contestati prestiti – quello della stessa Annunciazione e l’altro del Polittico di San Gregorio di Messina – per la monografica su Antonello, inaugurata venerdì scorso a Palermo. Ha ancora un senso a cose fatte? Credo di sì, perché le tesi che sostenevo allora restano tutt’oggi valide. Allora la mia critica si riferiva alla mancanza di un valido presupposto scientifico-culturale dell’evento e alla considerazione che le delicatissime condizioni conservative del dipinto ne avrebbero dovuto sconsigliare lo spostamento. Si tratta di due variabili – ragioni conservative e culturali – che sempre andrebbero soppesate con la massima attenzione in caso di prestito di un’opera d’arte.

Non sembra, invece, che siano state sufficientemente ponderate nella richiesta di trasferimento delle due opere di Antonello. Movimentare un’opera d’arte significa sempre sottoporre a rischio la sua integrità, ma non per questo non si fanno mostre nel mondo! Il parere dei tecnici può essere dirimente. C’è il supporto tecnico del Centro per il Restauro di Palermo, ci è stato rassicurato. Ma stiamo parlando dello stesso istituto da anni in gravissime difficoltà che ne minano le attività, per cui lo stesso Assessore dei Beni culturali Sebastiano Tusa, appena insediato, annunciò per ‘salvarlo’ di avere in progetto di farlo confluire in un Istituto Superiore dei BBCC, da creare sul modello di quello in Emilia Romagna? Perché, invece, non ci si è rivolti all’Istituto Superiore Conservazione e Restauro di Roma, di fama internazionale, invece che far passare come un atto d’imperio il trasferimento dei due capolavori?

L’opera messinese è fragilissima, perché su tavola, uno dei materiali più delicati in assoluto, suscettibile com’è alle variazioni termoigrometriche, e che ha richiesto pure di essere scomposta nei singoli pannelli nella fase della movimentazione. Mentre per la sua storia conservativa potremmo definire l’Annunciazione del Bellomo un ‘hapax’, termine con cui in filologia si indicano parole che ricorrono raramente nel sistema letterario di una lingua. A sottolineare questa ‘rarità’ è stato proprio il suo ultimo restauratore, il compianto prof. Giuseppe Basile, ad avvertire che l’opera «non ha perso, né poteva perdere le sue condizioni di grande fragilità» anche dopo l’intervento conservativo condotto tra il 2007e il 2008, e auspicava che negli anni a venire potesse continuare la collaborazione col suo Istituto.

Così fu nel 2013, quando l’Istituto romano venne interpellato in occasione della monografica antonelliana al Mart di Rovereto: la risposta fu negativa per il polittico di Messina, positiva per il dipinto del Bellomo. Singolare, però, che ad esprimersi, in contraddizione con Basile, fu un tecnico che non ebbe alcun ruolo nell’ultimo restauro appena ricordato, invece che quello probabilmente più titolato, il dott. Roberto Ciabattoni. È proprio a lui che nel 2016 ho chiesto cosa ne pensasse, dato che aveva effettuato indagini diagnostiche sul dipinto di Siracusa e che, tra i massimi esperti in materia di movimentazione e trasporto delle opere d’arte (suoi i “sistemi” per il Satiro di Mazara del Vallo e i Bronzi di Riace), si era occupato anche del suo trasporto in sicurezza da Roma a Siracusa. La risposta fu che si sentiva di poterne ‘sconsigliare la movimentazione’.

Dicevamo, anche, che sull’altro piatto della bilancia bisognerebbe mettere la valutazione dell’operazione sotto l’aspetto scientifico e culturale. L’autorevolezza di un curatore come Mauro Lucco e di un comitato scientifico come quello che aveva presieduto la mostra del 2006 alle Scuderie del Quirinale, era riuscita in un evento ritenuto impossibile: riunire quasi tutto il catalogo delle rare opere riconosciute come autentiche di Antonello (poco meno di 40 su un totale di 45). I direttori di museo si erano convinti ad accordare il viaggio a opere delicatissime come quella siracusana. Ora, in attesa di poter esprimere un giudizio compiuto solo dopo aver visitato la mostra palermitana, a cura di Giovanni Carlo Federico Villa, che di quella del Quirinale è stato il coordinatore scientifico, possiamo, comunque, già cercare di bilanciare quelle due variabili. Ad oltre mezzo secolo dalla mostra del ’53 a Messina, e dopo quella pure a Messina dell’81-82, il grande evento di Palermo offre l’occasione ai siciliani di comprendere in una visione unica lo straordinario percorso artistico del Maestro siciliano del Rinascimento, attraverso il non indifferente numero di ben 11 opere del suo catalogo, tra cui la Crocifissione di Sibiu, la Vergine col bambino degli Uffizi o il Ritratto della Pinacoteca Malaspina di Pavia. Certo, rammarica che le altre, per un totale di 21, tra cui il Cristo alla Colonna del Louvre, i ritratti di Palazzo Madama o quello della Gemäldegalerie di Berlino, saranno concesse dai prestatori solo per la successiva tappa a Milano. Insomma, non sono state solo Messina e Siracusa ad opporre resistenza.

Quello che, invece, si sarebbe potuto fare è che i due capolavori di queste due città restassero a casa nell’attesa che si acquisisse, anche a mostra in corso, il parere ISCR. A meno di un no alla movimentazione, riteniamo che le altre ragioni ostative potessero essere serenamente superate. Il museo messinese non dovrebbe registrare un calo sensibile dei visitatori a causa dell’assenza del polittico nei tre mesi di bassa stagione (da dicembre a febbraio): nel gennaio scorso ha registrato appena 1.404 visitatori in totale (compresi cioè gli ingessi gratuiti), 2.164 in febbraio, non raggiungendo o superando di poco la media giornaliera delle 2.025 persone ad ottobre della mostra di Van Gogh a Vicenza. Sarebbe, invece, interessante, verificare se la privazione in piena stagione estiva, nel 2016, dell’Annunciazione al Bellomo, guest star del museo (almeno Messina può contare sui Caravaggio e Montorsoli) aveva causato ripercussioni apprezzabili. Altra questione superabile quella della contropartita. Pensiamo se ognuno dei prestatori, istituti nazionali e internazionali, avesse chiesto in cambio una o più opere (per Siracusa pare che tre Paladino compensino un tanto al chilo l’ Annunciazione) dalla collezioni dell’Abatellis, le sale del museo avrebbe dovuto svuotarsi? Al Bellomo non tornò niente in cambio, dopo l’invio dell’Antonello al Mart: la contropartita, e comunque a distanza di qualche anno, fu invece con Messina, che nemmeno aveva inviato il suo Polittico di San Gregorio. Tant’è, come al solito l’ultima parola l’ha avuta la politica, anche se l’Assessore è un ‘tecnico’.

Silvia Mazza, storica dell’arte e giornalista de’ Il Giornale dell’Arte

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