“Se Miccichè mi chiedesse di dimettermi da deputato lo farei senza esitazioni. Lo farei per disciplina di partito, per stima, per affetto, per gratitudine. Ma ad Armao, che continua ad offendere il lavoro e l’impegno del parlamento tutto, non può chiedere di disconnettersi da Facebook. A nome di Forza Italia e dei siciliani, dovrebbe chiedergli di dimettersi dalla giunta. Basta parole, la gente ha bisogno di fatti concreti. La Politica deve tornare a farla chi vive i bisogni del popolo, mischiandosi con le quotidiane esigenze. L’avvocato Armao certamente è uno dei professionisti più apprezzati nel suo campo, ma il consenso e le risposte che ne susseguono sono un’altra storia. A me piace immaginare una Sicilia normale, in cui ogni cittadino si senta tutelato da chi lo rappresenta. La fine del populismo può essere decretata solo tornando tra la gente”.
L’uscita pubblica inattesa è del deputato di Forza Italia all’Assemblea Regionale Siciliana, Michele Mancuso, che rilancia, così, il nuovo sfogo di Gianfranco Miccichè affidato ad una platea ristretta forse per scelta politica o forse per l’incontenibile carattere del Presidente dell’Ars.
Nel mirino di Miccichè c’è, ancora una volta, l’assessore regionale all’economia Gaetano Armao, che è anche vice presidente della Regione e sul quale il presidente Musumeci fa orecchie da mercante. Dice la vulgata politica non perché abbia voglia di difenderlo ma per questioni di opportunità politica: mandare via Armao adesso significherebbe da un lato aprire una guerra di successione forse peggiore di quella che serpeggia, dall’altro lato si rischia di interrompere un percorso di trattativa intrapreso sui conti e, infine, ammettere implicitamente di aver commesso un grave errore di valutazione in sede di campagna elettorale con le alleanze scelte.
Tutte cose che al governatore non piacciono in nessuna delle loro possibili accezioni o declinazioni. Ma il tema del confronto all’interno della coalizione non è nuovo e ritorna, prepotentemente, ogni due o tre mesi. In piedi, ad esempio, resta il tema della nomina del nuovo assessore ai Beni Culturali. A sette mesi dalla tragica scomparsa del compianto Sebastiano Tusa, resta assessore ad interim proprio il presidente Musumeci. A prescindere dall’innamoramento di Musumeci per la materia, in molti considerano questa situazione non perpetuabile per tutta la legislatura.
Intanto oggi è il giorno della prima uscita pubblica da Sovrintendente del Mare nel posto che fu del marito per Valeria Livigni. Parla al convegno di Archeologia subacquea “Gli obiettivi della Soprintendenza del mare sono quelli di portare avanti la ricerca e la tutela di un patrimonio subacqueo immenso, finalizzato anche alla creazione di Itinerari sott’acqua. Allo stesso tempo questi reperti si devono conservare anche attraverso nuovi sistemi come le nanotecnologie come già aveva iniziato a fare Sebastiano Tusa. Creando anche nuovi posti di lavoro”.
Ma tornando alla politica dell’eventuale rimpasto la domanda che campeggia è: allora chi tira per la giacca un presidente che non ha voglia di cambiare nulla? Certamente tutta l’area di Forza Italia che fa riferimento a Gianfranco Miccichè ma non soltanto. Anche dal centro della coalizione arrivano segnali di voglia di cambiamento. Segnali spenti nelle dichiarazioni ufficiali sulla materia ‘rimpasto’ ma che vengono resi credibili dalle dichiarazioni di natura non politica ma pratica.
Insomma c’è fermento nella coalizione ma non c’è una strada tracciata. E quando la pentola bolle sul fuoco senza che nessuno voglia abbassare quella fiamma il rischio è sempre che il coperchio possa saltare via in qualsiasi momento, esattamente come accade per i tradizionali ‘fulmini a ciel sereno’.