Un giornalista siciliano che ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo, dopo essere stato nella Repubblica Ceca, ha preso carta e penna ed ha scritto una lettera aperta all’ambasciatore della Repubblica Ceca in Italia.
Ecco il testo della missiva:
Egregio Ambasciatore,
mi chiamo Claudio Zarcone, sono un giornalista italiano.
Vengo da un viaggio a Praga, lo desideravo da tempo, quantunque abbia girato il mondo non ero ancora stato in quella che definirei, insieme a Roma, la città più bella, magica del mondo, al di là di quella magia affabulante in senso esoterico che caratterizza ancora la città del Golem e della Moldava.
Solo casualmente il mio viaggio (amo definirmi viaggiatore, non turista) è coinciso con la ricorrenza dei cinquant’anni di quella famosa “Primavera”, resa immortale da una delle più belle canzoni di Guccini.
Non potevo esimermi, pertanto, dalla visita al cosiddetto Monumento a Jan Palach poco pubblicizzato dalle guide turistiche (nel senso di libri e di persone), lì a Piazza S. Venceslao, che nei fatti non è una piazza vera e propria, bensì una larga e lunga strada ricca di negozi e turisti vacanzieri.
Ho provato un profondo senso di tristezza nel vedere che il famoso Monumento a Jan Palach e a Jan Zajíc (altro giovane martire di quella “Primavera” emulo di Palach un mese dopo circa), altro non fosse che un’aiuola, una striscia di terreno in vero modesta, con su adagiata una piccola lastra marmorea con le foto dei due martiri praghesi (le allego le foto scattate col mio cellulare). Ma ciò che mi ha turbato, rattristato, è stato il vedere quella piccola aiuola con la sua piccolissima lapide, in stato di abbandono. La lapide resa scura dalla polvere; le foto cosparse di polvere e piccoli detriti anch’esse. La prima impressione è quella di un luogo abbandonato all’incuria, oltre che all’oblio. Un fiore rinsecchito, un fiore di carta verde, un santino non so di quale santo, qualche cicca di sigaretta, un peluche ormai datato nella sua posa sulla lapide, un foglietto di carta scritto in una lingua slava, forse una poesia, un ricordo. Nessuna targa o insegna che guidi il visitatore verso quella chiazza di terreno, che ancora grida, all’orecchio attento: “Libertà! Libertà!”.
Ho chiesto alla reception del mio albergo, ho chiesto a guide turistiche incontrate a Stare Mesto, la città vecchia (nei pressi della statua di Jan Hus), ho chiesto a persone di Malastrana, affollata di turisti, se sapessero dove fosse il Monumento dedicato a Jan Palach: pochi, pochissimi, conoscevano l’esistenza di questo luogo in memoria di Palach. Pochi, pochissimi, sapevano di questo, cosiddetto Monumento, anche se nei pressi di Malastrana, andando a piedi verso il Quartiere Ebraico, vi è una Piazza Jan Palach (mi perdoni qualche inesattezza toponomastica dovuta alla prima volta di questo viaggiatore).
Ma ahinoi, né la Piazza né la lapide sono oggetto di visita. In albergo mi hanno pure dato un libercolo con le feste, le ricorrenze, i posti da vedere a Praga, ebbene di Jan Palach nemmeno l’ombra.
Mi chiedo da semplice visitatore: com’è possibile tutto ciò?
Mi chiedo da cittadino europeo: come è possibile non ricordare quotidianamente Jan Palach e Jan Zajíc, onorandone il ricordo?
Mi chiedo da giornalista: la Storia (con la esse maiuscola) non tesse più le lodi degli eroi morti per gridare, opporsi, far sì che i popoli scelgano la propria dimensione storica? Eppure Guccini in altra canzone non esitava a recitare, “gli eroi son tutti giovani e belli”, così, come l’immaginario collettivo rappresenta ogni eroe.
Eppure Palach prima e Zajíc dopo resero, hanno reso, la dimensione storica di un popolo che cercava la propria, libera, autodeterminazione, diversamente che senso avrebbero avuto quella “Primavera”, le riforme di Alexander Dubček e del generale Ludvík Svoboda?
Che senso avrebbero avuto quella “Primavera”, quei morti, quei carri armati e la conseguente memoria che oggi viene offesa, mortificata, vanificando quasi il gesto di Jan Palach e Jan Zajíc?
Mi perdoni, Sua Eccellenza l’Ambasciatore: se scrivo, se parlo, è per quel viziaccio di giornalista di scrivere e parlare, raccontare.
Mi perdoni, Sua Eccellenza l’Ambasciatore: se scrivo, se parlo, è perché noi che abbiamo sempre potuto esprimere le nostre opinioni, che non abbiamo conosciuto i carri armati per le strade, abbiamo un’idea così forte, dirompente di Jan Palach, da sentirci umiliati nel vedere che un vero e proprio monumento non esista, perché – ripeto – non si può definire monumento una zolla di terra con due foto sbiadite, con le erbacce intorno, quasi occultata dalle foglie, dai cespugli, non degnamente pubblicizzata dagli operatori turistici e culturali. Jan Palach e Jan Zajíc non cercavano pubblicità, ci hanno messo la faccia e la vita morendo in maniera atroce, per garantire il diritto alla libertà dei propri connazionali, i quali oggi preferiscono pubblicizzare sulle loro guide l’Asian Festival, i concerti nelle chiese, le birrerie British style, i negozi di moda italiani (o falsamente tali), invece di rendere viva la memoria di chi non ha badato a spese per ribadire i concetti basilari di libertà e autodeterminazione dei popoli. A spregio della propria, giovane vita.
Sua Eccellenza l’Ambasciatore, la memoria, una volta divenuta tale, appartiene a tutta l’umanità, ecco perché mi permetto in maniera molto garbata di scrivere queste righe, nell’auspicio che una voce, la mia in questo caso, possa diventare cassa di risonanza fra le autorità della Repubblica Ceca. Possa, in qualche modo, servire per riparare a un torto nei confronti di due eroi nazionali boemi, oggi patrimonio di ogni uomo libero, lasciati morire per la seconda volta da un comportamento silenzioso (dove vi è silenzio, spesso vi è omissione), da un oblio non meritato.
Mi perdoni l’intrusione, non so cosa farà dopo aver letto la mia lettera aperta, tuttavia spero che Lei, Ambasciatore, qualcosa faccia.
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