Due ragazzi torinesi aggrediti a Palermo, sabato sera, nel cuore della movida, solo perché gay.
Per uno di loro sono state necessarie le cure del 118.
Una aggressione omofoba, con tanto di lancio di bottiglie di vetro, in una città accogliente e multiculturale come Palermo, dove ogni anno si tiene il partecipatissimo Palermo Pride, la festa dell’orgoglio Lgbtq.
Come è stato possibile?
A sconvolgere poi, è la giovane età degli aggressori, che a Stefano hanno urlato “Ti sfregio”.
A commentare quanto accaduto Luigi Carollo, portavoce del Palermo Pride, che ieri ha scritto una lunga nota di analisi che vogliamo condividere con voi. Eccola.
CHI/COSA ARMA LA MANO DI CHI PICCHIA NOI FROSH? Voglio dire subito che trovo bellissimo il comunicato dei due ragazzi aggrediti ieri in via Maqueda: non solo esprimo loro il mio più grande affetto e la mia totale vicinanza, ma faccio mie le loro parole. Chi picchia un* di noi picchia tutt* noi! E aggiungo che non picchia solo noi frosh.
Chi aggredisce un* di noi, aggredisce le nostre battaglie ed il diritto alla visibilità di ciascun*. Aggredisce qualunque spazio di civiltà ed aggredisce intere città. Ma soprattutto prova ad aggredire il concetto stesso di Libertà, intesa come piena e serena espressione di sé; negli spazi privati e specialmente negli spazi pubblici. Anzi, forse è proprio questa l’aggressione che più sta a cuore a chi picchia e lancia bottiglie di vetro in faccia ad un frosh.
Che sia uomo o donna, giovane o adult*, l’aggressore tende sempre, più o meno consapevolmente, ad incidere col sangue altrui un principio: tu non devi mostrarmi la tua differenza! Ufficialmente lo fa per affermare la propria maschilità; ma in realtà lo fa perché ha paura che non sia sufficientemente chiara la sua maschilità. Chi picchia un frosh lo fa innanzitutto per affermare di non essere frosh e di essere un vero maschio (o una vera femmina). E poco importa quanto vomitevole sia quella maschilità (o quella femminilità idealizzata dai maschi) o quanto riesca realmente a realizzarla nella solitudine delle sue stanze. L’importante è urlare al mondo “io sto coi veri maschi!”.
Quindi ad armare le loro mani è un mondo assai complesso e fin troppo popolato: sono le famiglie che pensano sia loro dovere educare i loro figli e le loro figlie secondo stereotipi tristissimi e violentissimi; sono quelle classi di scuola in cui si finge di non vedere il bullismo o si usa il proprio ruolo di insegnante per reiterare quegli stessi stereotipi e per bullizzare le differenze; sono quei gruppi di amici ed amiche che costruiscono la propria socialità sulla cultura dello stupro, della non affettività, delle battute su frosh e p*ttane per autorassicurarsi.
Sono quelle trasmissioni televisive, quegli articoli di giornale o blog, quei deliri social che cancellano o riducono al minimo sindacale la presenza e le parole delle donne (e/o delle persone lgbtq e/o delle persone migranti e/o delle persone di etnia differente); sono quei ceti politici e gruppi dirigenti che negano l’esistenza dell’omolesbobitransfobia o che negano che il nostro sia un paese ancora ferocemente maschilista e misogino; o che, ancora peggio, costruiscono il loro discorso pubblico sulla violenza contro qualunque differenza rispetto al maschio bianco eterosessuale occidentale agiato.
E oggi più che mai ad armare la mano di ogni aggressore è questo avvilente, schifoso, violento dibattito pubblico sulla legge Zan. Un dibattito in cui le persone lgbtq sono quasi sempre assenti (o almeno lo sono i/le militanti dei movimenti): si parla DI noi ma quasi mai CON noi. E soprattutto si parla della comunità lgbtq a partire da un assunto: quanto stiamo ammazzando la libertà di espressione e quanto vogliamo distruggere l’ordine biologico e naturale della differenza uomo/donna?
La legge Zan è argomento di discussione per questioni che non c’entrano nulla con l’articolato del testo ma che hanno, invece, lo scopo di avvelenare i pozzi del confronto pubblico. Mettendo a tema ignobili balle sulle legge, in realtà si ottiene lo scopo di spostare ogni giorno di più le persone lgbtq dallo spazio delle vittime di discriminazione allo spazio (pubblico) dei carnefici della libertà e della natura/biologia.
A furia di ripetere che vogliamo insegnare ai bambini e alle bambine a cambiare sesso/genere già alle scuole elementari o che teorizziamo la galera per chi è contrario al matrimonio egualitario o alla GPA, si smette di occuparsi di omolesbobitransfobia perché al centro del dibattito è la nostra presunta violenza, la nostra “eterofobia”, la nostra aggressione ai gentili valori delle miti persone eterosessuali e/o cisgenere. E tutto questo con la complicità di sedicenti figure del movimento lgbtq e di alcune femministe che continuano a scegliersi il nemico sbagliato.
E anche con la ormai insopportabile complicità di quant* tra noi si ostinano a pensare che per fare politica o militanza sui social si debbano copiare, riprendere, rilanciare i deliri violentissimi dei nostri avversari e delle nostre avversarie. Continuando quindi anche noi ad inchiodare il dibattito pubblico intorno alle questioni che ci tagliano le gambe e che ci pongono sul banco degli/delle imputat*/carnefici.
E allora voglio dirlo chiaramente: ancora più urgente dell’approvazione della legge Zan è che si silenzi QUESTO dibattito sulla legge Zan. La mia urgenza personale non è che si spenga questo dibattito per approvare una legge, ma che si approvi una legge per silenziare subito questo pericolosissimo dibattito pubblico. SUBITO! Prima che la passerella delle 170 comparse (quasi tutte ignobili) convocate in commissione al Senato svolga il compito terrificante per cui in realtà è stata pensata: riversare per settimane dentro il dibattito sotto i riflettori pubblici quel vomito di violenze omolesbobitransfobiche che ancora di più rendano noi persone lgbtq i/le carnefici della libertà, della famiglia, della scuola, della Natura.
Dopo quella passerella potremo solo contare mort* e ferit*. Al punto che quella legge sarà inutile persino se approvata. Perché ormai sarà definitivamente sdoganato il diritto di odiare e aggredire noi frosh, colpevoli di voler violentare la biologia e il dissenso e la serenità di bimbi e bimbe.
Dopo un anno e mezzo di isolamento, di angoscia, di tensione sociale creata dalla (gestione della) pandemia, questo slittamento dei nostri corpi dal piano delle vittime di discriminazione a quello dei carnefici non può che portare a quella esplosione di violenza verbale e fisica che riempie ogni giorno di più le cronache. In un paese che i conti col suo maschilismo e con la sua omofobia e con la sua misoginia (specialmente dal berlusconismo in poi) non li ha mai realmente fatti.
Davanti a tutte queste mani armate la legge Zan è una goccia, un inizio di discussione al massimo. Ma non è la soluzione: per quella ci vuole un capillare lavoro di educazione e formazione e informazione che al momento sembra ahimè lontano anni luce da noi e da questo paese. Scrivere in una legge che la discriminazione omolesbobitransfobica esiste e costituisce aggravante è utile solo a questo: a poter chiamare finalmente col suo nome la mano armata dell’aggressore. Non aspettiamoci altro: ma pretendiamo che non ci si dia meno di questo!