Adesso si rischia lo scontro diretto dentro il centrodestra siciliano. Dopo il terzo stop al percorso che porta all’elezione diretta nelle province siciliane gli alleati in Sicilia sembrano pronti alla guerra interna. Succede dopo che da Roma si è nuovamente stoppato il percorso per una deroga alla legge Delrio per la Sicilia riguardo proprio l’elezione diretta nelle ex Province.
La spartizione delle province e l’accordo che salta
E dire che fra i partiti in Sicilia l’accordo c’era già e ciascuno aveva la sua fetta: a Catania la provincia doveva essere appannaggio di un candidato della Lega (dopo che Sudano aveva fatto un passo indietro per aprire la strada a Trantino sindaco di FdI); Messina è la terra promessa di Cateno De Luca e di Sud chiama Nord, pegno per i suoi voti all’Ars e l’appoggio degli ultimi mesi a molti provvedimenti del governo Schifani (e lo sottolinea anche il fatto che uno dei quattro emendamenti alla camera era firmato proprio da Sud Chiama Nord); a Palermo Schifani voleva piazzare Marcello Caruso coordinatore di Forza Italia. In tutti e tre i casi si parla della Presidenza del Consiglio provinciale visto che nelle città metropolitane i presidenti corrispondono ai sindaci delle città capoluogo. a meno che la riforma (che l’Ars vuole fare) non cassi anche questo aspetto e porti all’elezione diretta anche il presidente. E allora cambia tutto.
FdI all’angolo, tanto vale far saltare il banco
Ad Enna puntano gli autonomisti di Lombardo, a Caltanissetta Noi Moderati di Saverio Romano, Agrigento è territorio della Dc di Cuffaro, Ragusa è contesa fra la stessa Dc e MpA. A Fratelli d’Italia restano Siracusa e Trapani ma anche lì non è proprio tutto sereno. A Trapani c’è la lega di turano che scalpita e a Siracusa la situazione politica è in totale evoluzione. Insomma Fratelli d’Italia in questa partita si sente all’angolo e dunque gioca la carta del rimandiamo tutto. Insomma i meloniani non stanno seduti comodi alle province se in caso di elezioni di secondo livello e+ne in caso di riforma ed elezione diretta. tanto vale far saltare il banco
Un passo indietro, le puntate precedenti
Facciamo un passo indietro guardando alle puntate precedenti. Il ritorno al voto diretto nelle ex province è nei programma del governo meloni come in quello del governo Schifani. Meloni, però, punta ad una riforma nel 2026 per andare al voto nel 2027 insieme alle elezioni nazionali e magari anche a quelle regionali in Sicilia e a tutti i grandi comuni possibili,. una sorta di enorme election day.ma in Sicilia non si può più aspettare. I Liberi Consorzi sono commissariati da undici anni e per due volte la Corte Costituzionale ha detto che l’ulteriore commissariamento è illegittimo. nell’isola l’attuale legge Prevede elezioni di secondo livello ovvero al voto vanno sindaci e consigli comunali e non i cittadini. una elezione che, fatta così, dilanierebbe lo schieramento al suo interno. per questo òla richiesta di una deroga nazionale per mettere in piedi una elezione diretta in Sicilia da subito ed evitare accordi trasversali molto dannosi.
Il no di Roma
Ma da Roma come da palermo i meloniani dicono di no. Lo hanno fatto in tutti i modi possibili. Una volta fermando la legge di riforma all’Ars. Una seconda volta è stato il Consiglio dei Ministri ad impugnare la leggina che aveva rinviato le elezioni di secondo livello ottenendo ragione dalla Corte Costituzionale,. Più di recente, dopo che in Sicilia una parte di FdI si era accodata alle richieste degli alleati temendo proprio di restare con il cerino in mao in caso di elezioni di secondo livello, una nuova formulazione di quel rinvio è stata, invece, impugnata di nuovo dal Consiglio dei Ministri. Eppure in elezioni di secondo livello vince chi fa alleanze ampie. I più penalizzati rischiano di essere i partit che non amano le alleanze proprio come FdI a destra (e i 5 stele a sinistra)
Gli emendamenti al milleproroghe o decreto emergenze
Così, dopo vertici e accordi, si era arrivato all’ultimo tentativo. un emendamento alla legge milleproroghe (o decreto emergenze come è stato chiamato) per giungere a quella piccola deroga. una forzatura normativa come altre se ne sono fatte in nome della politica.
In realtà non uno ma quattro diversi emendamenti in modo da offrire diverse soluzioni agli alleati: il 7,01 della Lega a firma Carrà, Sudano, Minardo; il 7.02 dei deputati di Forza Italia Calderone e Pella; il 7.03 di Francesco Gallo di Sud Chiama Nord e il 7.04 di Saverio Romano di Noi Moderati. Sarebbe bastato rendere ammissibile una delle quattro tesi per evitare il rischio frammentazione in Sicilia.
L’ultimo stop
Da Roma, però, è stato ancora una volta pronunciato un chiaro no agli alleati. I ben quattro diversi emendamenti sono stati giudicati inammissibili in Commissione. un no che porta un nome ed un cognome. E’ quello di Mauro Rotelli, esponente proprio di FdI e presidente della Commissione Ambiente da cui è partito il parere negativo sull’ammissibilità dei quattro emendamenti siciliani. Al contrario la Commissione bilancio presieduta dall’azzurro Giuseppe Mangialavori aveva dato il suo assenso.
Come già avvenuto altre due volte (anche tre a ben guardare), dunque, è Fratelli d’Italia a bloccare il percorso della riforma siciliana escludendo dalla discussione tutti e quattro gli emendamenti che, puntando su aspetti diversi, tentavano di risolvere il problema dell’elezione diretta delle province in Sicilia.
L’occhio puntato all’election day
Ma la questione siciliana per FdI romana è solo una questione locale e non si intende cedere sul percorso dell’idea dell’election day generale del 2027 nel quale far confluire ogni sorta di elezione possibile per ottenere una sorta di “all in” ovvero per massimizzare l’effetto trascinamento a vantaggio proprio del partito di maggioranza relativa nazionale: FdI appunto.
Il rischio spaccatura
Da tutto questo adesso deriva, adesso, un rischio spaccature (più di una) nel centrodestra siciliano. Da una parte i partiti territoriali che avevano già fatto capire la propria intenzione di fare accordi fuori dagli schemi in caso di elezioni di secondo livello, dall’altro lato l’allarme di Cuffaro che parla di rischio frammentazione, in mezzo un probabile nuovo vertice di coalizione nel quale le nomine diventano ancora più centrali e divisive se non c’è da trattare anche sulle elezioni dirette. E adesso che la spartizione sembra definitivamente saltata, al tavolo del centrodestra bisogna trovare un’altra quadra se si vuole restare insieme
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