“Quelli sì, che erano tempi belli. Ricordo che da bambino, la notte precedente alla Festa dei Morti, andavo a letto presto e mia madre mi cantava: ‘Va curcati ca i morti stannu arrivannu e si ti trovanu sveglio un ti regalanu nienti’. All’indomani mattina mi svegliavo presto verso le 4 e con i denti che mi battevano per il freddo autunnale andavo con gioia nella stanza da pranzo e trovavo il tavolo pieno di dolciumi caratteristici della festa dei morti (tatu’,frutti di martorana, pupaccena e cioccolatini) e naturalmente anche i giocattoli che mi portavano i morti, secondo quanto mi dicevano i miei genitori”. E’ il ricordo della festività di Giuseppe Li Causi, storico di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
La Festa dei Morti, molto sentita un tempo, e nata per creare un legame fra i più piccoli componenti di una famiglia e gli antenati scomparsi, è oggi una tradizione che tende a scemare anche se ne restano i dolci e in qualche caso anche i doni.
Ma come nasce e perché?
Si narra che nella notte tra l’1 e il novembre, i morti si risveglino e vaghino per procurarsi dolciumi e giocattoli per i bambini a loro cari che durante l’anno si sono comportati bene e hanno pregato per loro. I bambini, prima di andare a letto, preparano un cesto sotto il letto che i morti riempiranno durante la notte con i regali e nasconderanno da qualche parte in casa. Al risveglio i bambini, festanti, dovranno cercare i doni nascosti in giro per casa. A coloro che non sono stati buoni, invece, i morti verranno a grattugiare i piedi, per questo motivo si nascondono le grattugie in modo che i morti non le trovino.
Il giorno della commemorazione dei defunti è un evento particolarmente sentito a Palermo.
Ancora oggi si usa fare “u cannistru” (il canestro), pieno di biscotti tipici della festività come gli “ossi ri mortu” (dolcetti di farina e zucchero aromatizzati con chiodi di garofano e cannella e dalla forma simile alle ossa umane) e i “tetù” o misto siciliano, castagne, scaccio (frutta secca), dolci di martorana, cioccolata e giocattoli. Non può mancare la “pupaccena”, un pupazzo di zucchero dipinto a mano con sembianze umane.
Piatto tipico di questo giorno sono, poi, le “favi a cunigghiu” (fave a coniglio), dette in alcune zone anche “favi’n quasuni”.
L’uso delle fave era in voga anche a Palermo nel XVIII secolo, ma in città si prediligono tuttora le “muffulette schiette o maritate”, pane morbido e tondo ripieno. In alcune parti della Sicilia, si è soliti accompagnare le fave alle “armuzzi”, pane antropomorfo raffigurante fino al tronco le anime del purgatorio con le mani incrociate sul petto.
Usanza di questo giorno di commemorazione è recarsi al cimitero per far visita ai parenti defunti. Fino a qualche decennio fa, molti usavano restare tutto il giorno presso la tomba del defunto, dove si apparecchiava per il pranzo.
Altra tipica usanza di questa festa è visitare le Catacombe dei Cappuccini a Palermo, un cimitero sotterraneo del XVI secolo dove si possono vedere ancora i corpi mummificati di quanti lì hanno trovato sepoltura.
Fra cibo, dolci e usanze, dunque, la Sicilia ha una lunga tradizione relativa alla Festa dei Morti.