Immaginare oggi la città di Palermo, ricca di corsi d’acqua e laghetti, è impresa ardua.
Eppure non sempre è stato così, anzi solo in epoche relativamente recenti la città ha di fatto prosciugato quello che un tempo era un ricco reticolo idrogafico che comprendeva anche sistemi lacustri costieri e non solo.
Oggi, a parte il fiume Oreto, avvilito anche dalla continuata mancata attuazione dell’omonimo parco fluviale, poco o nulla rimane di visibile se non nella toponomastica. Anche in questo caso, però, vi sono delle coincidenze che sembrerebbero imporsi contro ogni logica. Chi potrebbe immaginare, infatti, che nei pressi di via Anapo, oltre che di una numerosa serie di vie dedicate ai fiumi siciliani, vi era realmente una zona umida?. Si tratta di Margifaraci, al quale, nello stesso posto, è dedicata una via il cui nome, in parte di derivazione araba, dovrebbe fare intendere proprio una zona paludosa.
E che dire di piazza Danisinnni, dove traeva vita il lento corso del fiume Papireto? Gli faceva da contraltare il fiume Kemonia le cui acque potevano diventare turbolente tanto da avere causato, nella storia della città, numerosi lutti. Sfociava, come il Papireto, nell’antica Cala, ben più vasta di quella attuale. Alla particolare orografia modellata dall’erosione dei due fiumi, Palermo deve la sua fondazione. I corsi d’acqua, avviliti dagli scarichi fognari, scorrono ancora in condotti sottorranei.
Se il Kemonia ed il Papireto sono tutto sommato rimasti nella memoria collettiva, quasi nulla è invece sopravvissuto dei Pantani Cascino, nei pressi della foce del fiume Oreto (diversa da quella artificiale attuale), famosi per la caccia che si esercitava.
Più noto, invece, il sistema lacustre d Mondello, divenuto nei secoli più volte oggetto di tentate bonifiche. Si dice, a tal proposito, che vi era l’interesse di Ferdinando IV di Borbone, riparato in Sicilia a seguito delle conquiste di Napoleone, a lasciare le cose così come stavano, ovvero, nel suo caso, per potere continuare ad andare a cacciare. La bonifica completa si concluse solo nei primissimi anni del secolo scorso facendo così scomparire un importante biotopo, divenuto però malsano anche a seguito dei numerosi tentativi di bonifica lasciati a metà.
Quasi del tutto dimenticati, poi, i nomi dei corsi d’acqua minori, come il Passo di Rigano (ne rimangono tratti scoperti solo nei pressi via Dogali), Mortillaro, Celona ed altri ancora. Impossibile solo immaginare la natura di allora. Basti pensare che l’impluvio dal quale traeva origine il torrente Celona è grossomodo ricollegabile al punto di scolo dei liquami della discarica di Bellolampo che tante polemiche suscitarono pochi anni addietro. L’acqua …, per modo di dire, riprese il letto del torrente, finendo nel canale interrato del Passo di Rigano e, si dice, arrivando di lì a mare nei pressi dei cantieri navali.
Scorre ancora l’acqua della Favara, la sorgente che dalle pendici di Monte Grifone veniva deviata dagli arabi fino al famoso lago di Maredolce, divenuto di recente oggeto di ripristino nuovamente fallito sembra a causa della rottura di una condotta. La Favara, relativamente pulita, arriva ancora a mare seguendo quasi il confine tra i Comuni di Palermo e Villabate. Alcuni anni addietro, a seguito delle abbandonti piogge, inondò i residui campi coltivati nei pressi di via Li Gotti, facendo andare in tilt il traffico di via Messina Marine.
Impossibile ricostruire la fauna di una natura ormai quasi del tutto scomparsa. Qualcosa, però, rimane e negli ultimi anni, grazie al miglioramento della qualità delle acque dell’Oreto, ammorbate purtroppo a pochi metri dal mare da una grosso scolo fognario, sono tornati anche gli uccelli palustri e non solo. Nel tratto urbano del fiume vi sono le Carpe, probabilmente arrivate da qualche vasca a monte, che vengono incredibilmente pescate nell’indifferenza di chi, invece, dovrebbe fare rispettare il divieto. Basta guardare lato mare dal ponte di via Oreto per vedere le carpe nuotare in gruppo tra lenze e retini. C’è chi giura ancora sulla risalita delle anguille mentre certa è la presenza di anfibi come la rana verde e di rettili; l’innocua biscia dal collare è infatti un ospite fisso.
Sicuri dalle fucilate, almeno fino al ponte Corleone, sono poi i grandi Aironi cenerini che dividono le sponde con le Garzette, Aironi guardabuoi ed altri ardeidi. Comunissima è poi la Gallinella d’acqua, grazioso rallide dalla fronte rossa. Piccoli esempi di natura che attendo un risamento che però, non arriva.
Diversa ma altrettanto interessante è l’avifauna marina, legata soprattutto alla presenza di Gabbiani reali e Gabbiani comuni. Nella stessa rada del porto è inoltre possibile osservare Svassi piccoli, Tuffetti e Svassi maggiori, mentre ormai molto comune, soprattutto nel periodo invernale, è il grosso Cormorano che condivide la stessa fascia costiera dove, con un po’ di fortuna, è possibile osservare le Sterne.
Le osservazioni finiscono qui anche se non smettono mai di soprendere come il grosso Airone bianco maggiore ed addirittura un Fenicottero che di recente è stato osservati nell’Oreto, tra i veloci passaggi di uccelli limicoli ed il coloratissimo Martin pescatore.
Lo sanno bene i birdwatchers cittadini che in quale caso, proprio nei pressi dell’Oreto, hanno dovuto subire il furto di binocoli e macchine fotografiche.
Solo pochi ma interessanti avvistamenti che testimoniano comunque la potenzialità dei luoghi che potrebbero essere maggiormanete valorizzati creando, come hanno fatto altre città, un Ufficio destinato alla salvaguardia della natura in città.
Se sei interessato al mondo degli animali CLICCA QUI
Commenta con Facebook