Sarà presentato oggi pomeriggio nella Chiesa della Madonna dei Rimedi in Piazza Indipendenza a Palermo il libro: “Ernesto Ruffini. Cardinale a Palermo. Interviste e testimonianze a cinquant’anni dalla scomparsa”. A cura di Francesco Inguanti. edizioni People&Humanities.
Alle 18 si celebrerà la Santa Messa in memoria del Cardinale che chiese di essere lì sepolto per la grande devozione che aveva per la Madonna, e subito dopo avverrà la presentazione del libro, nel corso della quale prenderanno la parola alcuni degli intervistati presenti nella circostanza.
Modererà Rosalia Pipia, Presidente del Centro Culturale “Uil Sentiero” di Palermo che insieme alla Casa editrice promuove l’iniziativa.
Abbiamo chiesto a Francesco Inguanti come è nata l’idea di raccogliere queste interviste.
Quest’anno è stato ricordato il 50° anniversario della morte del cardinale Ernesto Ruffini. Si sono svolte alcune significative conferenze che sono riuscite, almeno in parte, a rivedere un giudizio storiografico poco veritiero della sua opera pastorale e sociale?
Quale?
Quello che lo ha rappresentato come un cardinale di stampo reazionario, anti comunista e financo poco antimafioso. Le conferenze tenute da insigni docenti hanno potuto rivedere questo giudizio che era privo della necessaria contestualizzazione storica. Oggi tutti riconoscono che Ruffini fu innanzitutto figlio del suo tempo che riuscì a capire spesso prima degli altri anche con grandi intuizioni i cambiamenti che il dopoguerra e il boom economico degli anni ’60 avrebbero portato con sé.
Ma Ruffini rimane sempre un grande anticomunista?
Come anche qualche intervistato ha evidenziato Ruffini combattè il comunismo di quegli anni, che non è certo quello di oggi, perché aveva piena consapevolezza che la caduta dell’Italia nelle mani del PCI avrebbe significato non solo l’instaurazione di un regime come quello sovietico, ma una ateizzazione (non laicizzazione) della società, in cui la Chiesa non avrebbe potuto esercitare il suo ruolo.
Nel libro c’è riferimento anche alla famosa polemica sulla mafia?
Vi è una bella testimonianza che racconta di una intervista rilasciata dal Cardinale a Famiglia Cristina, di cui purtroppo non si ha la documentazione cartacea, in cui le risposte date al giornalista evidenziavano la necessità che la risposta alla mafia fosse innanzitutto una promozione sociale e culturale della Sicilia. Temi da lui ampiamente affrontati con la creazione e promozione di servizi sociali, di scuole, e di altre opere sociali. Poi aggiungeva in modo ancora più profetico che la mafia esiste soltanto perché lo Stato e le istituzioni dello Stato non compiono bene il proprio dovere nei confronti della povera gente. Credo che la storia e il dibattito dopo oltre 50 anni gli diano ampiamente ragione.
Che ritratto umano emerge dal libro?
Innanzitutto quello di un pastore che amava e amò fino alla fine Palermo e la Sicilia. Sorprende che questo giudizio sia espresso non solo dai cinque sacerdoti intervistati, ma anche da tutti i laici. Molti hanno parlato anche di paternità
In che senso?
Nel senso che fu padre per tutti quelli che lo frequentarono più assiduamente, perché vedevano come in lui ideale e azione, pensiero e vita quotidiana si fondessero in uno. E da questo spessore che nasce la sua concezione e attuazione della povertà
Ma Ruffini non esprimeva questa dimensione sociale come oggi la concepiamo.
Solo in apparenza e secondo un giudizio grossolano. Tutti gli intervistati hanno affermato che nel suo modo di concepire e vivere la povertà non c’era differenza tra i due termini. Per lui i poveri, la povertà erano una dimensione normale della vita, certamente frutto della sua formazione familiare e religiosa.
Ma di lui si dice sempre che era un principe della Chiesa, che amasse lo sfarzo che esprimeva nel modo di vestire e agire.
Le accuse che si muovevano al suo modo di apparire in pubblico, con gli abiti del Principe della Chiesa, in nulla potevano scalfire un tenore di vita assolutamente modesto e sobrio che non pretendeva di imporre a nessuno, ma con cui tutti avevano la possibilità di confrontarsi. Il libro in tal senso racconta di tanti piccoli esempi del modo in cui viveva la povertà nella sua vita personale. Una povertà intima, di cui in pochi conoscevano i contenuti, che non aveva necessità di essere gridata sui tetti o indicata come esempio sociale, ma che in lui era poi la molla per aiutare i poveri, tutti quelli che incontrava ai quali non faceva mai mancare un sostegno, seppur piccolo.
Perché molti ritengono attuale il messaggio e l’opera di Ruffini?
Perché Ruffini fu un profeta, nel vero senso della parola. Seppe vedere lì dove lo sguardo degli altri non sapeva giungere e quindi seppe compiere scelte che al momento sembravano incomprensibili.
Qualche esempio?
Seppe individuare nuovi contenuti e sentieri per la pastorale, quella che oggi si chiama pastorale d’ambiente o sociale, seppe intuire il futuro per nuove professioni, che in quel momento “non avevano mercato”, seppe capire l’importanza che avrebbe avuto il Concilio per la Chiesa e l’Italia, adoperandosi subito per una sua attuazione, che la morte gli impedì di proseguire.
Quindi non fu solo un uomo del suo tempo?
Dotato di una grandissima cultura, che spaziava in tutti i campi del sapere, non aveva timore a confrontarsi con tutti e proprio per questo fece giungere a Palermo significativi esponenti della cultura, laica e cattolica, che non erano immediatamente identificabili con la linea ufficiale che gli si attribuiva. In conseguenza di ciò chiese a tutti i suoi collaboratori, a partire dai sacerdoti, un impegno serio e continuo nello studio, soprattutto in campi ancora inesplorati, ma che comprese sarebbero stati ben presto, come in effetti fu, il terreno di confronto con una modernità che avanzava velocemente, insieme allo sviluppo economico degli anni ’60, introducendo mutamenti nel costume e nel pensiero, con cui anche la Chiesa doveva sapersi confrontare. Sono molto belle in tal senso le pagine che ricostruiscono nel libro il dibattito culturale degli anni ’60 a Palermo.
In sintesi come si può definire questa personalità?
Con la parola contemporaneità che è il termine che consente a tutti noi di non archiviare la grande personalità di Ruffini come “un grande della Chiesa” che però è morto e quindi poco ha da dire a noi. L’attualità dei grandi personaggi vive nella capacità dei successori di saperne cogliere le idee e tradurle nel contesto dei tempi che cambiano. Oggi Ruffini non riconoscerebbe Palermo travolta e stravolta da un progresso tanto inarrestabile quanto irrazionale. Ma oggi Palermo e la Sicilia possono fare tesoro delle sue intuizione e della sua testimonianza, quelle nel campo dei servizi sociali, delle nuove professioni, della qualità della vita nelle nostre città, ecc.
E alla Chiesa di oggi cosa ha da dire?
Oggi come allora la Chiesa ha la responsabilità di annunciare un Vangelo che non si fermi alla dimensione spirituale o che non sia riservato a quelli che “ancora vanno in Chiesa”. Una Chiesa viva e presente fondata su un laicato cosciente, consapevole e desideroso di far conoscere quel messaggio cristiano in grado di entrare e giudicare tutti gli aspetti della vita personale e di quella sociale. Questo e tanto altro ci ha lasciato il Cardinale di Palermo, Ernesto Ruffini, un uomo venuto da lontano, diremmo oggi, che seppe amare e servire Palermo forse meglio e di più di tanti palermitani.
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