“Emergenza criminalità a Palermo: assenza o ritorno di cosa nostra? Le Istituzioni assenti sono corresponsabili”
Lo sostiene il segretario del Pd di Palermo Carmelo Miceli in un lungo post su Facebook trasformato, in serata, in una lunga lettera aperta alla città.
“Palermo è sotto attacco – dice Miceli -. In tanti lo vedono ma in pochi ne parlano o, quantomeno, in pochi ne parlano con l’attenzione che il fenomeno meriterebbe. Dinanzi al quotidiano racconto di rapine violente, danneggiamenti, intimidazioni e, adesso, anche di omicidi, il dibattito sulle ragioni sottese a tali eventi rimane argomento poco interessante, specie per le forze politiche che governano la città”.
“Meglio fare finta che ciò che sta accadendo sia il normale ‘prezzo da pagare per una città che è diventata una metropoli” – continua – meglio crogiolarsi dietro l’illusoria consolazione che “Palermo all’estero è percepita come una città sicura e affascinante’. Insomma, meglio non interessarsi alle reali ragioni di quello che sta accadendo, considerando ciò che sta accadendo la normalità”.
“Nulla di più pericoloso. Nulla di più politicamente scorretto”.
“Lasciare che tutto accada senza chiedersi perché – aggiunge – senza chiedersi cosa c’è dietro, significa accettare scientemente il rischio di una “normalizzazione” di eventi che di normale hanno ben poco. Di venti che, invece, obbligherebbero ad una riflessione più profonda che sia in grado di partire dalla storia neanche tanto passata della città. Già, perché nel recente passato – a differenza di quanto qualcuno si ostina a non volere ricordare – è già accaduto che Palermo sia stata oppressa da una microcriminalità violenta e, per l’esattezza, ciò è accaduto quando Cosa Nostra ha deciso di assumere il controllo del territorio attraverso la violenza”.
“Parliamo dei periodi che hanno preceduto e succeduto le cosiddette “guerre di mafia”, momenti storici nei quali, dinanzi ad un clima di incertezza politica dilagante, all’interno di Cosa Nostra si scatenava (tra diverse e contrapposte fazioni: quelle fino a quel momento dominanti, quelle emergenti e/o quelle riemergenti post carcerazione) una guerra alla supremazia territoriale, finita la quale, ovverosia ristabilite le gerarchie, i “vincenti” decidevano di dare dimostrazione al popolo del loro “avvento” – talvolta del loro “ritorno” dalle patrie galere – attraverso una vera e propria “strategia del terrore”, mettendo in atto una serie di atti violenti e dimostrativi volti a incutere timore nel popolo, per obbligarlo al riconoscimento dell’esistenza di nuovi o vecchi padroni cui obbedire e sottostare”.
“Atti che – come nella teoria dei “corsi e ricorsi storici” di Giambattista Vico – ieri come oggi si concretizzavano in furti, rapine e intimidazioni violente e, in ultima ratio, in omicidi. Ovviamente nessuno vuole arrogarsi la tracotanza di dire che quanto stia accadendo sia per certo il frutto di un “ritorno” di una mafia “vecchio stile” e, anzi, sarebbero gradite e auspicabili smentite dalle preposte autorità”.
Certo è che tali smentite non arrivano.
“Pur tuttavia, proprio per non giungere a conclusioni allarmistiche e affrettate, non si può sottacere che, dinanzi ad una interpretazione dei fatti che riconduce la dilagante dilagante criminalità ad un ritorno di una cosa nostra violenta, ad una strategia del terrore messa in campo da cosa nostra, non va sottovalutato che la recrudescenza della criminalità cui stiamo assistendo potrebbe essere ricondotta, invece, “semplicemente” ad una “assenza” di Cosa nostra. Tradotto, quanto starebbe accadendo altro non sarebbe che il prezzo da pagare per la sopravvenuta assenza di quel controllo del Territorio che (volenti o nolenti) è stato assicurato da quelle gerarchie mafiose che sono state sgominate dalle operazioni condotte nell’ultimo decennio dalla Divisione Investigativa Antimafia di Palermo.
Una interpretazione diversa ma, probabilmente, diversamente pericolosa della prima ma pur sempre pericolosa”.
“Ed è proprio per la pericolosità insita in ciascuna delle citate interpretazioni che a chi amministra un città come Palermo, a chi a Palermo – più di ogni altro – rappresenta lo Stato, non può essere consentito di fare finta che non stia accadendo nulla di eclatante”.
“Chi amministra Palermo non può fare finta di non vedere e capire”.
“Perché alla fine – conclude – qualunque sarà, delle due, l’interpretazione corretta, un dato rimarrà certo: uno Stato che non si assume la responsabilità di capire, di capire e prevenire, autorizza il cittadino a lamentarsi dell’assenza o, quantomeno, dell’inefficienza dello Stato”.