La profonda capacità di andare oltre il suo dovere. È stata la cifra della vita e della carriera del professore Federico Piccoli, improvvisamente scomparso nei giorni scorsi all’età di 80 anni. Capo del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche sino al pensionamento avvenuto nel 2009, lascia un vuoto incolmabile non solo tra amici e parenti, ma anche in chi ha avuto modo di avere a che fare con lui dal punto di vista medico.
Prova ne è la lettera ricevuta da una ragazza che all’età di 19 anni lo andò a trovare allo studio, insieme alla madre, per una semplice certificazione da allegare alla richiesta di invalidità.
«Sono nata con una malattia congenita e i miei genitori sono sempre stati molto attenti a prendersi cura di me sul piano delle cure fisiche, un po’ meno di quelle psicologhe. Quando venni nel suo studio, mi aspettavo di trovare l’ennesimo medico freddo, pronto a sentire la mia storia e a dare una diagnosi. Lei, invece, mi chiese cosa mi aspettavo per il futuro, quali erano le mie speranze e gli studi che avrei intrapreso. Non lo chiese per circostanza, era davvero interessato. Per la prima volta non mi sentivo compatita, qualcuno dava voce al mio sentirmi “normale”. Me ne andai promettendole che le avrei fatto sapere se fossi stata ammessa all’università ma alla fine non l’ho mai fatto, forse per vergogna o per paura di disturbarla. Oggi voglio farle sapere che sono al conseguimento della seconda laurea in Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane, viaggio da sola e ho una vita piena di amore e amici. Probabilmente sarebbe andato così comunque ma lei mi ha dato forza e voglio ringraziarla. Continui a guardare dentro le persone e grazie di tutto».
Una maturità clinica e una capacità di ricerca uniche, attestate da più parti nel corso della sua carriera.
Laureatosi nel 1965 a Roma dopo aver frequentato i laboratori dell’Istituto Superiore di Sanità, si è trasferito a Palermo proseguendo la sua attività di ricerca sotto la guida del professore Vincenzo Bonavita che l’ha definito “un eccezionale collaboratore”. Dal ‘68 al ’70 ha frequentato il New York State Institute for Neurochemistry and Drug Addiction diretto dal professore Abel Laitha che ha scritto di lui: «È un grande lavoratore capace di focalizzare i problemi e di apportare sempre un suo contributo originale. Particolarmente affabile e sempre pronto a collaborare, è stato un membro molto apprezzato del gruppo e noi tutti siamo sinceramente dispiaciuti del suo ritorno in Italia. Ha continuato poi la sua attività clinica e di ricerca, presso l’ Istituto delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università degli Studi di Palermo. Divenuto professore ordinario di Clinica Neurologica, ha diretto poi la Scuola di Specializzazione per poi ricoprire il ruolo di Capo Dipartimento.
«Ci ha lasciato una persona che ha dato tanto alla medicina – afferma la dottoressa Marina Rizzo – e che avrebbe avuto ancora tanto da dare non solo in termini di qualità e spessore clinico, ma di capacità di entrare in empatia con i pazienti. Un reale professionista di umanità, del quale sentiremo veramente la mancanza».