La sua condotta è “grave” anche perchè si è concretizzata in una “sorta di giustizia fai da te”: “anzichè denunciare” chi l’aveva molestata sessualmente quattro anni prima, “si è fattivamente attivata con il dott. Palamara per condizionare” i componenti del Csm “affinchè esprimessero il loro voto contrario alla nomina del dott. Creazzo all’ufficio di procuratore della Repubblica di Roma”.
Lo scrive la Sezione disciplinare del Csm nelle motivazioni della condanna alla censura inflitta alla pm di Palermo Alessia Sinatra il 21 febbraio scorso. Una decisione che allora aveva suscitato un vespaio di polemiche.
Le parole del Csm
La “ferma volontà” di Sinatra di “condizionare negativamente” i consiglieri del Csm, “tentando di interferire» nella loro attività, «costituisce una grave violazione del dovere di correttezza e di equilibrio”, si legge nella sentenza. E la sua condotta non può essere giustificata dall’esigenza “privata e personale” di “ottenere una rivincita morale per essere stata vittima quattro anni prima di condotte abusanti”. Perchè agire come ha fatto lei per ottenere “una riparazione per l’abuso pur grave subito”, si traduce in una “giustizia privata inammissibile per qualunque cittadino e ancor di più se chi vi fa ricorso è un magistrato”.
I rilievi nei confronti della pm non si fermano qui: anche se nell’immediatezza non aveva “ritenuto di denunciare le condotte
abusanti del dott. Creazzo mediante formale querela, ben avrebbe potuto far valere comunque le sue ragioni nell’opportuna sede civile”, sottolinea il “tribunale delle toghe”.
La difesa della Sinatra: “Dimostra lontananza da donne abusate”
Una sentenza “unilaterale nella prospettazione giuridica e storica”, “carente nella motivazione” e “illogica”, ma che soprattutto “rimarca l’incolmabile distanza rispetto al sentire comune della società civile ed allontana il Csm dalla sensibilità e solidarietà nei confronti di donne abusate”.
Il professore Mario Serio, difensore della pm di Palermo Alessia Sinatra, fa a pezzi le motivazioni della condanna alla censura inflitta alla sua assistita dalla Sezione disciplinare del Csm. Una sentenza unilaterale perché, spiega , “ignora del tutto
la complessa attività istruttoria, la sentenza della Cassazione che si è pronunciata sulla responsabilità dell’altro magistrato
e non si sofferma nemmeno incidentalmente sulle chiare e drammatiche spiegazioni fornite anche verbalmente dall’ incolpata circa il proprio stato psicologico”.
Ed è anche illogica “perché tra l’altro addebita alla vittima la mancata proposizione di azioni civili e penali malgrado la puntuale spiegazione che la stessa ha ripetutamente dato”. Per il legale “l’unico conforto è dato dalla critica unanime
e trasversale della sentenza pubblicamente espressa in ogni contesto professionale, politico, culturale”.
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