- “Il dopoguerra in Sicilia – dal separatismo all’autonomia” (1943-1947), un ritratto della nostra terra che aiuta a decifrare il presente
- Lo si trova nel libro di Francesco Cangialosi
- Si è tenuto a Palermo un dibattito
Un ritratto della nostra terra. Una Sicilia in bilico tra spinte conservatrici e voglia di riscatto, dove agiscono diversi attori: i contadini in lotta per colmare “la fame di terra, la fame di pane a la fame di giustizia”, le classi emergenti che sognano un’Isola affrancata dal fascismo e finalmente protagonista della ricostruzione nazionale.
I separatisti, le lotte, i lutti e il banditismo
E poi i separatisti ondivaghi e confusi che, con in testa Finocchiaro Aprile, rincorrono l’utopia di una Sicilia annessa agli Stati Uniti d’America, le lotte, i lutti e il banditismo. Infine il destino di un meridione che in realtà si gioca su altri tavoli, dentro una partita internazionale dove americani, russi, inglesi e francesi, sono impegnati a spartirsi il mondo in zone di influenza con gli accordi di Jalta, già siglati a tavolino dai grandi del mondo.
La Sicilia “accontentata” dallo Statuto autonomista
E la Sicilia, in questo giro che fa la Storia, viene “accontentata” dallo Statuto autonomista, un prodotto giuridico senza anima, sintesi di diverse spinte politiche che genera una visione della Regione in contrapposizione allo Stato.
Il libro “Il dopoguerra in Sicilia – dal separatismo all’autonomia”
Tutto questo è molto altro è contenuto nel libro di Francesco Cangialosi “Il dopoguerra in Sicilia – dal separatismo all’autonomia” (1943-1947) presentato al circolo Unione di Palermo durante un dibattito cui hanno partecipato il professore Pasquale Hamel, gli onorevoli Enrico La Loggia e Vito Riggio, la dottoressa Laura Salamone e il giornalista Felice Cavallaro.
Una Sicilia “che faceva paura”
Dal testo, ricco di aneddoti inediti, viene fuori il ritratto di una Sicilia che “faceva paura” per la forza delle sue rivendicazioni, la richiesta anche violenta della riforma agraria, la mafia che si muoveva apertamente. Sullo sfondo c’è una Dc che nasce a casa della famiglia Alessi, a Caltanissetta, ci sono i La Loggia che si recano a Roma da don Sturzo per chiedere l’approvazione della carta autonomista e ottengono il sì di De Gasperi. È una via. Ma è una via che si rivelerà un sogno infranto.
Un conflitto con lo Stato e la cultura del piagnisteo
Per Vito Riggio “sarebbe stato più utile sintetizzare ed essere estremamente pragmatici chiedendo allora infrastrutture, investimenti, progetti. La Sicilia che è venuta fuori dallo Statuto – ha sottolineato Riggio – ha soltanto generato un conflitto con lo Stato, lo scontro è stato alimentato da continue rivendicazioni che nulla hanno portato con sé, se non una cultura del piagnisteo che ormai fa parte integrante di molti siciliani. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una Regione che fatta così non serve a nulla, con una burocrazia incapace di guardare al futuro. Basti pensare che dei 31 progetti presentati per l’irrigazione delle campagne e coperti dai fondi del Pnrr, nessuno è stato approvato”.
Un grande sogno
“L’autonomia era grande sogno – ha spiegato Enrico La Loggia – elaborato per dare ai siciliani uno strumento di riscatto economico, sociale e politico. Si condensa nei tre articoli finanziari, il 36, 37 e 38 che don Sturzo fece approvare da De Gasperi a Roma. Fu mio padre che andò personalmente a incontrare don Sturzo nella sua casa romana, portando con sé le carte dello Statuto. Fu il sì di De Gasperi che concretizzò il sogno di molti siciliani. Ma purtroppo l’autonomia finì nel 1958 con l’operazione Milazzo che ebbe il demerito di screditare la classe politica regionale”. Un testo affascinante, che apre a dubbi e interrogativi e che aiuta a decifrare il nostro difficile presente.
Commenta con Facebook