Va rispettato il principio di umanità della pena e nel confermare il carcere per un detenuto per mafia novantenne e malato occorre indicare come siano conciliabili “l’affermata capacità delinquenziale” con “l’effettiva possibilità di esprimerla concretamente” nelle “pur accertate condizioni patologiche in cui egli versa”.
La Cassazione, sulla base del principio con il quale aveva accolto il ricorso di Totò Riina, giunge alle stesse conclusione anche per il boss novantunenne Giuseppe Farinella, condannato all’ergastolo come mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio, e detenuto al 41 bis, che chiedeva il differimento della pena.
Il collegio è lo stesso che aveva accolto il ricorso del capo dei capi della mafia. La difesa di Farinella aveva anche, di recente, vinto un ricorso contro la proroga del regime di 41 bis, che dovrà essere pertanto riesaminata.
Anche in questo caso, come per Riina, sarà il tribunale di sorveglianza di Bologna a riesaminare la posizione di Farinella. Lo stesso tribunale aveva ritenuto “il paventato rischio di eventi cardiovascolari infausti” connaturato “alle patologie e all’età del detenuto”, e sottolineato che Farinella “è portatore di un altissimo tasso di pericolosità sociale”, come capo di un clan “ancora operante”, senza che vi siano stati segnali di dissociazione, anzi “anche durante la detenzione ha continuato a comunicare con il sodalizio” e “si era dimostrato capace di mettervi a capo il figlio e poi il genero e di organizzare gravi delitti all’interno del carcere”.
Il suo difensore aveva al contrario sottolineato che il vecchio boss si trova in carcere dal ’94 e da allora vive al 41 bis e il tribunale – a suo avviso – non aveva spiegato come possa commettere reati nello stato di salute e con l’età attuale: per questo chiedeva il differimento della pena, o in alternativa una perizia per accertare la compatibilità del carcere con le condizioni di salute.
La Cassazione, forte di vari precedenti della stessa Corte, elencati nella sentenza, ha ordinato “approfondimenti istruttori” tramite una perizia sulle patologie sofferte dal detenuto per “superare qualsiasi aspetto di incertezza sulla compatibilità con il regime carcerario con giudizio sorretto da congrue basi scientifiche”. Il giudice dovrà anche fornire “specifiche indicazioni” per motivare il giudizio di pericolosità del boss.