Saranno celebrati venerdì 27 dicembre alle 10.30 i funerali di Maria Ruggia, 76 anni, morta dopo aver trascorso otto giorni su una barella al pronto soccorso dell’Ingrassia di Palermo.

L’ultimo saluto sarà celebrato nella chiesa evangelica in via Carlo Del Prete a Palermo. Per conoscere le cause della morte l’autopsia eseguita all’istituto di medicina legale del Policlinico dal dottore Tommaso D’Anna bisognerà attendere l’esito degli esami istologici che si spera potranno chiarire se la donna abbia contratto in ospedale un’infezione come sostengono i familiari.

L’autopsia non ha chiarito cosa abbia provocato la morte della donna. L’avvocato Andrea Dell’Aira che segue la famiglia dell’anziana ha nominato per l’esame il medico Manfredi Rubino.  L’azienda sanitaria la dottoressa Cettina Sortino.

La figlia Romina Gelardi in questi giorni ha chiesto giustizia per la morte della madre. “Ho chiesto scusa a mia madre per averla portata al pronto soccorso dell’ospedale Ingrassia. Mi sono sentita in colpa per aver scelto questa struttura, la più vicina. Per me un ospedale vale l’altro, dovrebbe essere così. Ma da adesso in poi non porterò più nessuno qui”.

“Mia madre si poteva salvare – dice la donna -. Era stata ricoverata con sintomi di protratta inappetenza e nausea persistente, poi ha contratto un’infezione proprio al pronto soccorso, accusando difficoltà respiratorie che prima non aveva. I medici mi dicevano che aspettavano di portarla in reparto perché solo lì potevano praticare le terapie dovute. Questo vuol dire che non hanno potuto curare l’insufficienza renale: ma mia madre soltanto al decimo giorno dal ricovero, poche ore prima di morire, è stata trasferita in reparto. Se fosse arrivata prima si poteva salvare”.

Romina Gelardi ricorda di essere stata chiamata dall’ospedale alle 10 del 19 dicembre: “Mi hanno chiesto se fossi al corrente del modo in cui mia madre era arrivata in reparto, aggiungendo che era in fin di vita. Pensavo di aver capito male, invece mi stavano spiegando che stava morendo per aver contratto un’infezione. L’ho vista alle 12, non riusciva a parlare. Tutto il giorno ho provato a contattare il numero che mi era stato fornito per ricevere informazioni, ma non mi hanno mai risposto. Alle 20 mio marito è andato in reparto per apprendere dai medici che la paziente aveva la pressione bassissima, che peggiorava e stavano chiamando un cardiologo”.

La figlia ripercorre l’incubo della madre, che arrivata in ospedale è rimasta una notte in ambulanza prima di entrare al pronto soccorso, “dove l’abbiamo portata perché a causa del suo stato non eravamo più in grado di somministrarle i farmaci di cui aveva bisogno. Era cardiopatica, portatrice di pacemaker, diabetica. Al pronto soccorso le hanno dato un codice verde. Sono stata con lei tutta la notte, era distesa sulla barella dell’ambulanza, dopo è stata trasportata dentro, dove è rimasta per otto giorni su un’altra barella”.

Mentre l’assessore regionale alla Salute, Giovanna Volo, manda gli ispettori per accertare “le difformità organizzative”, il capogruppo di Iv alla Camera, Davide Faraone, afferma che “si cerca qualcuno su cui scaricare la responsabilità per continuare a coprire un sistema che è andato letteralmente in tilt. Le cliniche private, appena esaurito il budget mensile, non ospitano più i pazienti e scatta una macabra selezione sulla pelle dei malati. È alla Regione, e non nelle corsie, che vanno trovati i responsabili di questo caos”.