Palermo

Cure insufficienti in carcere, imputato per mafia ottiene i domiciliari

La quinta sezione del tribunale di Palermo (presidente Donatella Puleo, relatore Salvatore Flaccovio) ha concesso i domiciliari a Emanuele Prestifilippo di 53 anni arrestato nell’operazione antimafia denominata Stirpe, con l’accusa di far parte della famiglia mafiosa di Ciaculli-Croce Verde Giardini, per la quale avrebbe gestito le sensalerie e la distribuzione dell’acqua.

Cure inadeguate in carcere

La decisione è stata presa perché in carcere non è possibile fornire le adeguate cure e terapie. Anche per un soggetto detenuto per reati di mafia, l’impossibilità di fornire cure adeguate costituisce elemento significativo volto a vincere la presunzione assoluta di legge, consentendo allo stesso di poter beneficiare del regime attenuato degli arresti domiciliari.

E’ stata così accolta l’istanza difensiva proposta dagli avvocati Giovanni Castronovo e Carmelo Ferrara.

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Peggioramento delle condizioni di salute in carcere

Al momento dell’arresto Prestifilippo godeva di buona salute, ma dopo l’inizio della sua carcerazione ha iniziato ad accusare delle problematiche alla colonna vertebrale che, a causa della mancanza di adeguate cure, lo ha costretto a vivere su una sedia a rotelle, non potendo in tal modo poter provvedere alle sue normali attività quotidiane, se non grazie alla solidarietà di alcuni suoi compagni di cella.

Domiciliari per cure necessarie

E così, dopo aver cambiato ben tre istituti penitenziari, e a seguito di diverse perizie, il tribunale, verificata l’oggettiva impossibilità da parte del circuito penitenziario a far fronte alle esigenze del Prestifilippo, gli ha concesso gl’arresti domiciliari, in modo da poter provvedere autonomamente alle cure e terapie di cui ha bisogno.

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L’operazione Stirpe

Le operazione dei Carabinieri e Polizia hanno messo in luce estorsioni, anche con l’imposizione di operai nei cantieri edili, spaccio di droga, detenzione armi, il controllo delle scommesse clandestine e l’intestazione fittizia di alcuni beni. In 31, tra boss e gregari dei clan di Brancaccio e Ciaculli, erano finiti in manette.

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