L’hanno chiamata l’economia del gambero: un incremento del 26% per quanto riguarda la nascita di start-up innovative ma mancano 110 mila posti di lavoro rispetto al 2007. È la fotografia dell’economia dell’Isola scattata dal report Cisl-Diste “Zoom Sicilia”. Così se da un lato la Sicilia fa un passo in avanti, da un altro ne fa uno indietro. Altro primato negatovo che spetta alla Sicilia è dato dal numero delle imprese siciliane per saldo nei termini di legge delle fatture da onorare.
L’economia siciliana secondo la ricerca annaspa e registra solo qualche timido segno più, resta però tutto sommato intrappolata sul fondo del ciclo recessivo esploso nel 2008. Dal 2004 all’anno scorso sono aumentate di 4,2 volte le attività imprenditoriali iscritte nella sezione speciale del Registro delle imprese dedicata alle start-up innovative. Pari a tre volte, la media Italia. Nel solo 2018, la Sicilia ha dato alla luce oltre 500 imprese frutto di particolare talento e originalità: più di cento (+26%) rispetto all’anno prima. Il Centro-Nord nel 2018 ha registrato il +22,5%, la media Sud-Isole è stata del +23,7%. Una bella spinta. Ma sullo sfondo di una realtà che resta in deficit di ossigeno. Nella quale, appunto, “la quota di imprese in grado di saldare le fatture nei termini di legge resta tra le più basse d’Italia e per giunta in peggioramento”. Secondo i report “a fine 2018, a onorare le scadenze come pattuito è stato in Sicilia solo il 17,5% delle aziende. Sono state il 22% quelle che hanno pagato “con grave ritardo”, cioè andando oltre i trenta giorni. E rispetto all’anno precedente la situazione s’è persino deteriorata con le imprese puntuali scese di 2,3 punti e quelle cattivi pagatori aumentate di due punti. Come dire, la marcia del gambero.
Come si legge nel primo numero di Zoom Sicilia, il Pil della Regione nel 2018 s’è attestato sul +0,4% (+0,5 nel 2017). Ma mentre “nel 2006 il prodotto per abitante era più basso del 33% della media nazionale, oggi rasentiamo il 40%”. In pratica, un segno più ma con l’amaro in bocca. Come riprova pure il ridimensionamento dell’apparato produttivo nel decennio 2008-2018: dieci anni durante i quali le uniche due province dell’Isola che hanno chiuso in positivo per numero di imprese non artigiane attive nel territorio, sono Ragusa e Siracusa. La prima, nel 2018 ha tagliato il traguardo delle 24.551 unità realizzando il +7%. L’altra ha registrato 24.036 aziende attive e un incremento del 5,2%. In rosso tutte le altre. Il peggior risultato, quello di Agrigento nel cui territorio, a fine 2018, si contavano 28.296 imprese attive non artigiane pari al -14,3% sul dato di dieci anni prima. A seguire Trapani con 32.472 imprese e il -9,5%; Enna: 10.181 unità e -9,3%; Caltanissetta: 17.275 imprese e -6,9%. A Catania il decennio si è chiuso con uno stock d’imprese di 63.953 unità e il -3,7%. A Messina con 35.018 aziende attive pari al -2,9%. E quanto al Palermitano, il 2018 ha registrato 61.221 attività d’impresa e un -0,9% sul dato del 2008.
Altrettanto in chiaroscuro, e con la prevalenza di toni grigi, la realtà sul fronte dell’occupazione. Il 2018, precisa il rapporto, in Sicilia si è concluso con un numero di occupati che non arriva al milione e 400 mila (1,363). In percentuale, lo 0,3 in meno dell’anno precedente: quattromila posti persi. Quest’anno la situazione dovrebbe migliorare ma di una incollatura. La stima per il 2019 è infatti di un modestissimo aumento di duemila nuovi lavoratori. Un piccolo passo, certo. Che lascia tuttavia l’Isola ancora lontana anni-luce dalla realtà occupazionale del 2007, anno che precedette le lunghissime fasi recessive. Rispetto a dodici anni fa, all’appello mancano, si legge, ben 118 mila posti di lavoro.
Sul versante della domanda, Zoom Sicilia segnala l’indebolimento dei consumi delle famiglie, aumentati nel 2018 dello 0,5% appena. +0,7% il dato stimato per quest’anno, con uno 0,2 aggiuntivo calcolato per la spinta del cosiddetto reddito di cittadinanza. Gli investimenti fissi delle imprese, in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto, l’anno scorso sono aumentati del 3,4% grazie specialmente agli incentivi fiscali. Quest’anno, è atteso invece un assai modesto 1% a causa soprattutto del clima dimesso che si respira, e che non aiuta. Quanto agli investimenti in costruzioni, il trend negativo degli ultimi quindici anni nel 2018 ha rallentato registrando un -0,5% che quest’anno si ipotizza giri in positivo con “una beneaugurante inversione di tendenza (+0,8%) stimolata dall’urgenza di rimettere in moto l’attività nel comparto delle opere pubbliche». Brillante la performance del settore agricolo, che ha chiuso il 2018 crescendo del 3,6% e “recuperando larga parte del calo del 2016-2017”.
Infine, il Ponte sullo Stretto. L’interruzione unilaterale dei lavori del Ponte sullo Stretto di Messina, sottolinea lo studio, “ha prodotto un danno di 900 milioni di euro pari alla penale che la SdM (e quindi il ministero dei Trasporti) dovrà pagare a Eurolink, l’impresa che avrebbe dovuto realizzare l’opera”. Calcola quindi il report che “il costo annuale dell’insularità che 5,2 milioni di siciliani sostengono per la mobilità di persone e merci da e per l’Italia, è pari a tre miliardi di euro l’anno”. E che, a tre anni dal voto del parlamento Ue che ha riconosciuto la condizione di insularità di Sicilia e Sardegna, i siciliani a differenza dei sardi “non godono della continuità territoriale aerea” che da e per la Sardegna consente di pagare per tratta “non più di 50 euro”.