- Dal 25 febbraio scorso San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo, è zona rossa
- I negozi che possono da codice Ateco restare aperti sono vuoti
- L’appello dei commercianti che si dicono danneggiati dalla zona rossa
Non sanno più come andare avanti i commercianti di San Giuseppe Jato, da giovedì scorso zona rossa insieme al vicinissimo paese di San Cipirello, nel Palermitano.
La zona rossa è stata istituita da un’ordinanza del presidente Musumeci visto l’elevato numero dei contagi da Covid19.
Zona rossa, negozi vuoti e disastro economico
I commercianti raccontano tutta la loro frustrazione, i negozi sono vuoti, in giro non si vede nessuno.
Gioacchino Lo Giudice, commerciante del settore abbigliamento spiega quanto sta accadendo.
“Più che un disagio – dice – è un disastro economico perché siamo in lockdown. Siamo stati dichiarati zona rossa anche se ci sono alcune attività che ci consentono da codice Ateco di rimanere aperte, come l’abbigliamento per bambini. La gente non può uscire da casa, ha paura, e quindi viviamo un grosso danno economico.
La zona rossa potrebbe avere una motivazione anche se io personalmente non sono d’accordo. Se c’è un ladro non possiamo arrestare tutta la cittadinanza. Dicono che c’è stato un festino o compleanno e sono aumentati i contagi. Ci sono persone che non rispettano le regole ma non può piangere tutta la cittadinanza.
Rivolgo un appello: noi siamo sempre pronti a collaborare, a San Giuseppe Jato e San Cipirello la situazione è difficilissima, noi siamo a disposizione per rispettare tutte le regole di sicurezza, però fateci lavorare e dateci continuità”.
Lavorare con il servizio di asporto non basta
Gli fa eco l’omonimo Gioacchino Lo Giudice, titolare di una pasticceria-gelateria.
“Ho questa attività – racconta – insieme ad alcuni colleghi e ci troviamo penalizzati dalla possibilità di fare solo asporto. Da noi l’asporto non funziona. Le persone sono bloccate a casa. Stiamo vivendo un danno economico molto grave, siamo stanchi di tutta questa situazione, quindi chiediamo di poter lavorare onestamente, come abbiamo sempre fatto. Abbiamo anche dovuto affrontare delle spese per adeguarci alle nuove norme, mascherine, gel, separatori, etc. e oggi i nostri negozi sono vuoti”.
Il settore della ristorazione in ginocchio
In grossa difficoltà anche Giuseppe Brusca, titolare di una pizzeria.
“Sono sincero, – afferma – lo Stato mi ha aiutato, la Regione mi ha aiutato, sono arrivati soldi, non lo nego ma mi hanno aiutato al 50%. Tutto il resto è stato di tasca mia. Io ho cercato di non chiudere neanche un giorno, ho cercato di dare un servizio al paese, e questo mi sta costando caro.
Mi sta danneggiando la non continuità, l’aprire e il chiudere. Noi ristoratori non vendiamo scarpe, ogni volta che ci fanno chiudere noi buttiamo chili e chili di merce. Danno che non si può quantificare e che nessuno ci ripaga. Chiediamo stabilità. Se ci dicono di stare chiusi altri 15 giorni noi lo facciamo, ma una volta che ci fanno aprire ci serve continuità. Non possiamo continuare con ‘l’apri e il chiudi’, questo ci procura un danno ancora maggiore”.
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