Era stato assolto “per non avere commesso il fatto” dal reato di violenza sessuale nei confronti delle due minorenni e “perché il fatto non costituisce reato” dall’accusa di detenzione di materiale pedopornografico. Una sentenza, quella emessa dalla seconda sezione del Tribunale di Palermo presieduta da Roberto Murgia (a latere Stefania Gallì ed Elisabetta Villa). Il bidello Ignazio Majolino finito nell’indagine è stato difeso dall’avvocato Gioacchino Genchi.
Il pm Giulia Amodeo ha impugnato la sentenza solo per il secondo capo d’imputazione, mentre l’assoluzione relativa ai presunti abusi sessuali è passata in giudicato. Ignazio Majolino, bidello di 50 anni, dovrà dunque sottoporsi a un nuovo processo in Corte di appello.
La mattina dell’11 aprile 2019 due ragazzine, dopo essersi recate a scuola – l’Istituto odontotecnico Ascione – avevano riferito a una bidella e al vicepreside che un uomo le avrebbe prese per il collo e gettate a terra, per costringerle a subire il palpeggiamento del seno e del sedere. Subito dopo i carabinieri del Nucleo radiomobile di corso Calatafimi arrestavano Majolino. Sarebbe stato lui a commettere gli abusi.
Le loro contraddizioni hanno indotto il collegio giudicante a scrivere, nelle motivazioni dell’assoluzione, che “la credibilità delle stesse si incrina nel momento del riconoscimento fotografico prima e riconoscimento “de visu” e ricognizione personale dopo”.
“A dette considerazioni poi – continuano i giudici – deve aggiungersi che il Majolino, sin dall’immediatezza del suo fermo ad opera dei militari intervenuti suoi luoghi, si è sempre dichiarato estraneo agli eventi, offrendo agli organi di polizia giudiziaria procedenti una serie di dati (la presenza di un impianto satellitare a bordo della autovettura alla guida della quale veniva osservato; la descrizione delle commissioni effettuate e del percorso seguito la mattina dei fatti denunciati. All’esito degli accertamenti condotti sul cellulare in uso al Majolino all’epoca dei fatti, rinvenuto nella disponibilità dello stesso al momento del suo fermo e quindi sottoposto in giudiziale sequestro, lo stesso, nell’orario indicato dalle persone offese come quello in cui si erano perpetrati gli abusi, risultava collocato in una cella compatibile con l’indirizzo di casa e non già con la zona della città in cui avvenivano le due aggressioni a sfondo sessuale”.
Mentre per gli 8 file rinvenuti in un hard disk al momento della perquisizione, che secondo il consulente tecnico dell’accusa Pietro Indorato avrebbero avuto un contenuto asseritamente pedopomografico, trovato unitamente a numerosi altri (ben 547), il Tribunale sostiene che “a fronte della ingente mole dei supporti informatici rinvenuti nella disponibilità del Majolino e dei file in essi rispettivamente contenuti, non vi è alcun elemento suscettibile di positiva valutazione idonea a far ritenere provata in capo al Majolino una consapevole e volontaria detenzione degli 8 files in questione”, ma anche in “mancanza di prova in ordine al fatto che il Majolino li abbia mai visionati”, dato che “nei personal computer a disposizione dell’imputato non risultano effettuate ricerche su internet tese a ricercare quel tipo di contenuto”.
Inoltre, proprio dai metadati dei predetti file, era risultato che gli stessi non erano stati mai visualizzati dall’imputato, come pure emergeva dal registro di sistema del suo personal computer, secondo la ricostruzione eseguita dal consulente tecnico informatico della difesa Danilo Spallino.
Su questi ci si confronterà ora nel giudizio di appello, dopo il passaggio in giudicato dell’assoluzione per la violenza sessuale pluriaggravata nei confronti delle due minorenni.