“Se quanto dice Luca Palamara nel suo libro fosse vero, sarebbe il modo peggiore per ricordare i giudici Falcone e Borsellino nel trentesimo anniversario delle stragi”. A parlare in una intervista all’Adnkronos è Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, figlia maggiore del giudice Borsellino, che parla “a nome della famiglia” delle rivelazioni fatte dall’ex consigliere del Csm Luca Palamara nel nuovo libro ‘Lobby e logge’, scritto con il giornalista Alessandro Sallusti.
Palamara ricorda la lettera-denuncia fatta dai tre figli di Borsellino, in occasione dei 25 anni dalla strage, al Consiglio superiore della magistratura. “Una lettera nella quale Fiammetta – scrive Palamara – ci chiede di fare chiarezza anche all’interno della magistratura. In altre parole ci chiede di prendere l’iniziativa”. Ma come spiega lo stesso ex magistrato, oggi radiato dall’ordine giudiziario, pur avendo acquisito gli atti del processo ‘Borsellino quater‘ e avere aperto “una discussione in prima commissione, quella che si occupa dei procedimenti disciplinari”, si fece solo “ammuina, come si dice a Napoli”. “Fu una discussione molto accesa ma detto in onestà non ci fu mai l’intenzione di andare fino in fondo”.
“Abbiamo fatto ammuina, come si dice a Napoli. Non abbiamo neppure convocato, almeno per dare un segnale alla famiglia Borsellino e al Paese, i magistrati che gestirono quel depistaggio. Tantomeno Di Matteo che, ascoltato come testimone al processo di Caltanissetta contro i tre poliziotti coinvolti, confermò che in un primo tempo aveva creduto alle dichiarazioni di Scarantino e che solo dopo gli vennero dei dubbi. Versione che non spiega come mai il processo non venne fermato”.
E ricorda che nel 2018 Fiammetta e Lucia Borsellino “si recano nell’ufficio del Procuratore generale Riccardo Fuzio fornendo elemento che a loro dire avrebbero potuto dare avvio a una istruttoria, a un’azione di accertamento delle responsabilità sul piano disciplinare dei magistrati coinvolti. Vengono sentite, raccontano fatti, vicende circostanziati”.
Ma “la magistratura in quel momento è concentrata su altri problemi che sono nell’aria: il caso Palamara”. Così nel 2019 Fuzio scrive una lettera alle sorelle Borsellino in cui si dice “rammaricato“. E Palamara scrive anche la risposta delle sorelle Borsellino in cui ribadiscono che dopo un anno “nessun atto è stato prodotto né si è addivenuti a una evoluzione dell’istruttoria”.
“Confermo il contenuto di entrambe le lettere, sia quella scritta da Riccardo Fuzio a mia moglie che a Fiammetta Borsellino – dice ancora Fabio Trizzino – sia la risposta di Fiammetta Borsellino, quelle sono documentate”. E poi ribadisce che la famiglia ha “sempre espresso delle preoccupazioni” su quella vicenda. “La famiglia ha avuto il sospetto che si facesse melina e che non si volessero affrontare le problematiche oggetto della denuncia – dice ancora Trizzino all’Adnkronos – Certo, vedere quanto accaduto, se il racconto di Palamara corrisponde a verità, ci lascia davvero l’amaro in bocca. Il modo peggiore per ricordare Paolo Borsellino a 30 anni dalla sua morte“.
E auspica: “Questo dovrebbe aprire ormai una riflessione indifferibile sul Consiglio superiore della magistratura. Perché, sempre se quanto dichiarato da Palamara dovesse risultare riscontrato e corrispondente alla realtà sulla gestione della denuncia, siamo di fronte a un odioso diritto disciplinare del privilegio, che non possiamo assolutamente accettare”.
“Poi Trizzino ricorda: “Basti pensare a come fu solerte il Csm, prima nei confronti di Giovanni Falcone e poi nei confronti di Paolo Borsellino, per questioni davvero irrilevanti e pretestuose. Sicuramente non gravi come quelle oggetto della denuncia di Lucia, Fiammetta e Manfredi Borsellino. Qui, invece, il Csm ha fatto melina, per anni…“.
“Che Scarantino non fosse attendibile se ne era accorta all’epoca dei fatti Ilda Boccassini – dice Palamara nel libro – che per questo lasciò la procura di Caltanissetta dove era approdata dopo gli attentati a Falcone e Borsellino proprio per partecipare alla caccia ai colpevoli. «Fregnacce pericolose», aveva bollato le parole di Scarantino, ma nonostante questo la macchina infernale della giustizia impazzita continuò la sua corsa, guidata dai procuratori Giovanni Tinebra – quello che di recente, in un altro contesto, il faccendiere Amara indicherà come il capo della loggia Ungheria –, Carmelo Petralia e Annamaria Palma, coadiuvati da un giovane pm, quel Nino Di Matteo che diventerà poi una star della magistratura e che ora siede al Csm”, dice Palamara.
“Il 2 febbraio 2021, cioè quasi trent’anni dopo i fatti e dodici dopo la scoperta della messa in scena – conclude – il tribunale di Messina ha archiviato l’inchiesta nei confronti dei magistrati Petralia e Palma perché non è stato possibile accertare «le evidenti anomalie» del caso Scarantino. I tre poliziotti (Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei) sono tuttora sotto processo a Caltanissetta. Petralia, oggi in pensione, il 29 settembre 2021 è stato condannato dai colleghi di Messina a un anno per aver omesso di indagare su un amico imprenditore”.