“A luglio del 1989, poco prima che lo uccidessero, mentre era in viaggio di nozze, vennero a cercarlo due persone. Erano in moto, ebbero modi bruschi e quando gli dissi che non c’era, stavano per andar via. Gli chiesi chi fossero e uno dei due rispose: ‘digli che siamo colleghi’. Non posso dimenticare il suo viso: aveva la faccia lunga, come un cavallo. Il naso pronunciato. Il volto butterato, come se avesse avuto il vaiolo. Pensavo che fossero ‘falchi ‘ (agenti in borghese ndr)”. Lo ha raccontato, Vincenzo Agostino padre dell’agente di polizia Nino Agostino ucciso con la moglie Ida Castelluccio il 5 agosto 1989.
La sua testimonianza, deponendo al processo, che si celebra col rito ordinario, dove gli imputati sono il boss Gaetano Scotto, accusato del duplice omicidio aggravato e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento.
Lo scorso 19 marzo invece è già stato condannato all’ergastolo (processo con rito abbreviato) il boss Nino Madonia, accusato del duplice omicidio aggravato. Un delitto quello dell’1989 pieno di misteri, legato molto probabilmente al fallito attentato all’Addaura, di due mesi prima (21 giugno 1989). Agostino infatti era un poliziotto che dava caccia ai latitanti e agiva per conto del Sisde, sotto copertura, infiltrandosi in vicolo Pipitone, tra i boss dell’Acquasanta e Arenella.
La testimonianza su Giovanni Aiello
L’uomo descritto dal teste Vincenzo Agostino, padre della vittima che da anni non si taglia la barba in segno di protesta per ricerca di veirtà e giustizia, è Giovanni Aiello, ex 007 poi deceduto, detto “faccia da mostro”.
“L’ho riconosciuto anche in presenza”, ha spiegato, durante un celebre confronto all’americana. Nel 2016 Agostino fu messo a confronto con l’ex collaboratore del Sisde e lo identificò con l’uomo che era andato a chiedere del figlio.
I depistaggi e le accuse a La Barbera
Il padre della vittima ha anche parlato dei depistaggi delle indagini sull’omicidio attribuendo un ruolo nella vicenda all’ex capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, ormai defunto, e che oggi sappiamo essere stato a libro paga Sisde con nome in codice Rutilius (considerato tra gli autori del depistaggio sulle indagini della strage di via D’Amelio).
“La Barbera – racconta Vincenzo Agostino – mi convocò di notte in questura intimandomi di dirgli tutto quello che sapevo perché altrimenti rischiavo la galera. Non ci ho visto più – ha ricostruito – e gli ho detto che erano loro che dovevano indagare e dirmi quello che era successo, a partire dagli appunti di Nino in cui c’era scritto ‘se mi succede qualcosa andate a controllare nel mio armadio’. Quegli appunti io non li ho mai ritrovati“.
Anzi quello probabilmente fu un errore che consentì alle “menti raffinatissime” di mettere in pratica il depistaggio.
“Intendiamo dimostrare che l’imputato Gaetano Scotto ha pianificato ed eseguito con Nino Madonia il duplice omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie. Agostino svolgeva la ricerca di latitanti e per questo è entrato in contatto con ambienti dei Servizi tramite l’ispettore e amico Guido Paolilli”, ha detto nei mesi scorsi il pg Nico Gozzo che sostiene l’accusa.
Le accuse all’amico Paolotto
“Paolotto (Francesco Paolo Rizzuto) – ha aggiunto il teste – mi chiedeva con insistenza dov’era Nino e quando tornava. Aveva dormito a casa nostra la notte del 4 agosto e aveva pranzato con noi. Mi chiese di Nino che era in servizio – Quando Nino tornò a casa, con Ida, Paolotto non l’ho più visto”.
Cosa ha visto all’epoca il giovane Paolotto Rizzuto, all’epoca 15enne, oggi 47enne? Secondo i magistrati avrebbe assistito al delitto, ma avrebbe taciuto e mentito, non raccontando importanti dettagli per risalire agli esecutori materiali. Numerose le nuove prove raccolte dalla Dia. In particolare un’intercettazione in cui parla di una “maglietta piena di sangue” e un’altra in cui si confida col padre.
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