- Il processo per il delitto del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio. Testimone in aula Guido Longo: “Dubbi sulle prime indagini di La Barbera”
- L’ex questore ha confermato in aula di avere manifestato subito a La Barbera le sue perplessità sulla pista passionale
- “L’arrivo di Paolilli da Pescara? La cosa mi parve strana”
Si arricchisce di nuove testimonianze il processo sul Delitto Agostino del 5 agosto 1989. Ieri in Aula ha deposto l’ex questore di Palermo Guido Longo, che ha ricordato le prime indagini che puntavano sulla pista passionale “sponsorizzata” da Arnaldo La Barbera, che oggi sappiamo essere al libro paga Sisde con nome in codice “Rutilius“.
È lì infatti che emerge per la prima volta la figura di Vincenzo Scarantino. Una sorta di prova generale del depistaggio, che tre anni dopo verrà messo in scena con successo per via D’Amelio.
Perplessità sulla pista passionale
Guido Longo in Aula ha detto di non avere mai conosciuto Nino Agostino ma di avere manifestato all’allora capo della mobile La Barbera “perplessità sulla pista passionale, basata su informazioni frammentarie. Tuttavia la divergenza di vedute ci può stare in un organo di polizia giudiziaria”.
“Io non ho mai creduto alla pista passionale – ha detto di fronte alla Corte d’Assise -. Questo anche per le modalità efferate del duplice delitto che era per me un omicidio di mafia per tecniche e modalità di esecuzione. Era stata uccisa anche la moglie (Ida Castelluccio, ndr), e poi c’era la moto che era stata bruciata e dalle indagini emergeva essere stata notata nei giorni precedenti in quelle zone. Erano tutte modalità mafiose”.
Longo ha ricordato che “Nell’immediatezza dei fatti sono state acquisite informazioni dai parenti, sul luogo del delitto. Io ero presente nella villetta, c’era anche il capo della Mobile, La Barbera”. E già quando si trovava in visita all’obitorio, si iniziò a parlare della pista passionale e di una ex fidanzata.
I servizi segreti
Longo ha riferito di non avere mai avuto rapporti con i servizi segreti e che “una sola volta ha avuto un incontro, nella stanza di La Barbera, con Bruno Contrada. Era il 1988 ed era già allora un alto funzionario del Sisde”.
I dubbi sull’arrivo di un “poliziotto bravo” da Pescara
La sera del 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini – sul luogo del duplice omicidio – Longo ricorda la presenza di un poliziotto: “Chiesi a La Barbera. Mi disse che era uno bravo, un ispettore in servizio a Pescara e inviato per dare una mano alle indagini. La cosa mi parve strana – ha detto in aula – la decisione di aggregarlo fu presa dal dirigente della Squadra mobile. La Barbera diceva che era uno bravo e che poteva dare una mano. Alle mie indagini non è stato di ausilio perché lui non lavorava con me”.
Si trattava di Guido Paolilli, ex poliziotto (ora in pensione) che fu chiamato da La Barbera a Palermo per un contributo alle indagini.
La distruzione delle carte
Su Paolilli però, a distanza di molti anni, arrivarono delle “ombre”, tanto che proprio pochi giorni fa è stato condannato in sede civile a risarcire la famiglia Agostino: dovrà risarcire 22.746 euro ciascuno ai genitori, e 9.099 euro ciascuno ai tre fratelli di Nino.
Il motivo? Paolilli fece le prime indagini sul delitto e le perquisizioni in casa della vittima. Il padre di Nino Agostino – Vincenzo – che da anni chiede giustizia e si è fatto crescere una lunga barba bianca in attesa di verità, riferì di aver trovato un biglietto sul portafogli del figlio che diceva: “Se mi succede qualcosa, controllate il mio armadio”. Ma quei documenti importanti, dopo strane perquisizioni, non furono mai trovati. Paolilli è stato indagato per favoreggiamento con l’accusa di averli distrutti, ma la sua posizione è stata archiviata perché nel frattempo è arrivata la prescrizione.
Intercettato mentre parlava col figlio nel 2008 disse che nell’armadio c’era una grossa mole di carte che lui aveva stracciato. In una intercettazione ambientale lo stesso Paolilli ammetteva aver distrutto “una freca di carte che proprio io ho pigliato e poi ho stracciato”, riferendosi ai documenti nascosti nell’armadio di Nino Agostino. Da qui, l’altro ieri, la condanna in sede civile a risarcire la famiglia Agostino, per quella “verità negata”.
L’accusa
“Intendiamo dimostrare che l’imputato Gaetano Scotto ha pianificato ed eseguito con Nino Madonia il duplice omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie. Agostino svolgeva la ricerca di latitanti e per questo è entrato in contatto con ambienti dei Servizi tramite l’ispettore e amico Guido Paolilli”, ha detto nei mesi scorsi il pg Nico Gozzo che sostiene l’accusa.
Insomma strane indagini e ombre dietro il delitto di 32 anni fa.
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