C’è un allarme che va oltre i dati e che la dice lunga sulla ‘morale’ della politica e della burocrazia siciliana. Un allarme ‘in più’ lanciato durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti ieri.
“Non soltanto le condanne della Corte dei Conti, spesso, non sortiscono l’allontanamento dei funzionari pubblici che ne sono colpiti, ma addirittura sembrano costituire un trampolino di lancio per avanzamenti verso altri incarichi di maggiore prestigio. Il Legislatore deve trovare gli strumenti efficaci affinchè le amministrazioni procedano poi al recupero delle somme di cui è stato appurato il danno”.
Con queste parole il procuratore regionale presso la sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, Gianluca Albo, ha aperto la sua relazione: Albo ha sottolineato la necessità di introdurre norme che garantiscano l’efficacia dei provvedimenti erariali nel recupero delle somme, ma anche nella certezza che chi riceve una condanna non continui a ricoprire gli stessi incarichi in cui si è reso colpevole o addirittura altri di maggiore responsabilità. Una fragilità operativa che rappresenta una sorta di ventre molle in cui continua a germinare la corruzione, che non potrà essere seriamente arginata, secondo il magistrato, finchè le linee d’intervento marcate continueranno ad essere circoscritte alla dimensione penale.
“Scusate il termine tecnico – ha continuato Albo – ma in un’ottica “giuscontabilistica” la corruzione altro non è che la violazione del principio di economicità nell’azione amministrativa e delle, spesso, connesse violazioni dei principi di efficienza, efficacia e trasparenza, tutti diretta emanazione dell’articolo 97 della Carta costituzionale, e tutti
unitariamente sintetizzabili nel principio di sana gestione finanziaria. Il sistema legislativo di contrasto alla corruzione, sostantivo di sintesi ormai riconosciuto per indicare tutti i fenomeni di spreco di risorse pubbliche, anche nel corso del 2018 non ha fatto registrare interventi significativi.
La stessa recente legge 9 gennaio 2019, numero 3, nonostante l’enfasi con cui, ben prima della entrata in vigore, se ne è rivendicato l’effetto risolutivo ricorrendo al conio suggestivo di “legge spazzacorrotti”, si limita ad intervenire nel tradizionale, ma ristretto, ambito penalistico di contrasto alle devianze dolose dell’azione amministrativa. Si deve, ancora una volta, prendere atto di come il Legislatore abbia perso un’occasione per un intervento organico idoneo ad offrire strumenti di deterrenza concreti ed efficaci per contrastare la “mala gestio” a connotazione
colposa: la più diffusa, perché interna all’agire ordinario dell’azione amministrativa, e la più insidiosa, perché, non superando la “zona grigia,” rimane insensibile ai presidi di contrasto di natura penalistica”.
In quest’orizzonte sconfortante, i magistrati contabili si trovano in prima linea: “Nel persistente deficit sistematico del contrasto alla “mala gestio” con concreti ed effettivi interventi legislativi di anticorruzione sostanziale, rimane affidata al pubblico ministero contabile la reazione ordinamentale ai fenomeni non criminali di spreco delle risorse pubbliche”.
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