“È una giornata importante e delicata e dobbiamo essere molto lucidi e razionali, per raggiungere le scelte giuste per i nostri territori. Le misure devono essere necessariamente nazionali, perché dalla Valle d’Aosta alla Calabria il virus c’è ovunque e sta crescendo ovunque”. Lo ha detto a Buongiorno, su Sky TG24, il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio schierandosi, così con Lombardia ed Emilia Romagna. “Non è possibile intervenire a pezzi, bisogna intervenire tutti insieme, con un modulo che preveda le responsabilità di Regioni e Governo, che sia completo e che dia una prospettiva. Quello che non vedo oggi è una prospettiva da dare al Paese”.

“Abbiamo una situazione che oggi è diversa da quella di marzo, quando il Governo faceva vedere una cartina dell’Italia divisa in zone arancioni, gialle, verdi, rosse. Avevamo misure diverse per province contigue – aggiunge Cirio -. Noi stiamo dicendo al Governo che fare lo stesso errore di marzo è sbagliato, ormai abbiamo 11 regioni che hanno l’Rt sopra a 1.5, vuol dire che hanno un rischio alto”. “Per questo – sostiene il governatore del Piemonte – noi chiediamo, con spirito collaborativo e rispetto istituzionale, che ci sia un rapporto collaborativo e ci si renda conto che quella diversificazione fatta a marzo era sbagliata e che il Covid è un problema nazionale e servono misure nazionali. Se decidessi ad esempio di chiudere le scuole in Piemonte, non potrei imporre il congedo parentale. Il mio potere arriva a chiudere le scuole, ma non a imporre il regime del congedo parentale, quindi è necessario l’intervento del Governo. Oppure se io in Piemonte decidessi di chiudere le attività X, queste attività chiuderebbero senza accesso al ristoro nazionale, perché quei soldi li dà il Governo. Non è possibile intervenire a pezzi, bisogna intervenire tutti insieme”.

Ma secondo Agostino Miozzo, medico, coordinatore del Comitato tecnico scientifico, “ci prepariamo a un’intensificazione delle misure visto l’aumento dei contagi e dei ricoveri anche se non abbiamo avuto il tempo di valutare l’impatto degli ultimi provvedimenti, che si misura in 2-3 settimane”.

E, in un’intervista a ‘Il Fatto Quotidiano’ avverte che il Cts “non chiede il lockdown. Il Cts non chiede e non decide, deve dare valutazioni tecniche collegate a indici epidemiologici e allo stress sul sistema ospedaliero e territoriale”. Il lockdown “come a marzo-aprile è la soluzione più semplice. Paralizzi il Paese e puoi sperare che in 3-4 settimane la catena di trasmissione si interrompa o si attenui. Ma quando l’abbiamo fatto si andava verso l’estate: ora siamo a novembre, arriveremmo in condizioni meno stressanti a dicembre – sottolinea – ma all’inizio della stagione influenzale, con la popolazione chiusa in casa, magari per poi affrontare il periodo natalizio come l’estate nella logica del “liberi tutti” che coinciderebbe con il desiderio di ritorno alla normalità” si ripeterebbero “gli stessi errori”.

Su tante cose a livello municipale, regionale e generale “avremmo dovuto prepararci meglio all’autunno”. Miozzo spezza una lancia “a favore del ministro Roberto Speranza, l’accordo con i medici di famiglia è complicato: servono i dispositivi di protezione, gli spazi negli studi”. Le diverse strategie delle Regioni su nodi centrali come i covid hotel e i drive-in, dimostrano, per Miozzo, che “serve una gestione centralizzata”. Sull’osservanza delle misure adottate “non ci sono abbastanza controlli. E ci preoccupa che siano invocati nuovi divieti e nuovi parametri quando quelli già esaminati e disposti non sono sempre rispettati”.

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