“Mi hanno fatto mettere in ginocchio. Dopo aver messo il ghiaccio mi hanno fatto mettere il braccio sinistro tra due mattoni e mi hanno fatto girare la faccia per non guardare.
Poi mi ha colpito con un corpo contundente. Subito dopo mi ha fatto poggiare anche l’altro braccio e dopo avermi fatto girare nuovamente lo sguardo mi ha colpito violentemente. In quei momenti ho sentito un fortissimo dolore al punto che ho perso quasi i sensi”.
E’ un racconto dell’orrore quello che emerge dalle 269 pagine del provvedimento di fermo firmato dai magistrati palermitani nei confronti dei presunti membri delle due organizzazioni che per ottenere i rimborsi assicurativi hanno spezzato braccia e gambe a decine di persone, vittime consenzienti scelte tra malati mentali, tossicodipendenti e soggetti in gravissima difficoltà economica che di fronte alla promessa di un guadagno non si tiravano indietro.
Ma è stato proprio grazie ai racconti di queste persone, scrivono i pm, che è emersa “la natura brutale e spietata degli indagati”, veri e propri torturatori che avevano le idee ben chiare.
“A me mi devono dire solo ‘rompi ad un altro’, io te lo rompo tutto” diceva uno di loro intercettato dai poliziotti.
L’uomo era in auto con un complice dopo aver lasciato il luogo del finto incidente in cui avevano abbandonato la vittima predestinata.
“Il piede perso ce l’ha – dice quest’ultimo – Come l’aveva, forse tre pezzi ha, tibia, perone e malleolo…hai visto come aveva la gamba?”.
Un altro membro della banda, al telefono con la moglie, definiva invece “lavoro” fare lo spaccaossa: “stanno ancora lavorando” dice l’uomo mentre in sottofondo si sentono i lamenti di sofferenza di un poveraccio
. Una violenza che emerge chiara dai racconti delle vittime. Francesca Calvaruso è una di loro, il 4 marzo viene portata in un magazzino alla periferia di Palermo. “…dopo qualche minuto è uscito Mimmo (altra vittima, ndr) che piangeva per il dolore tenendosi il braccio sinistro – ha messo a verbale la donna -… era arrivato il mio turno…mi facevano distendere sul pavimento bloccandomi il piede destro tra due mattoni.
Mi hanno precisato che avrebbero fratturato prima il piede, che era più doloroso, in questo modo il dolore per la frattura del braccio sarebbe stato meno intenso. A quel punto…sollevavano un peso da palestra e…me lo hanno lanciato sul piede. Subito dopo ripetevano la medesima operazione per fratturarmi il braccio”.
Più o meno quel che aveva raccontato Giuseppe Pennino, che era stato ‘agganciato’ al mercato di Brancaccio da un conoscenze che sapeva che era senza soldi e senza lavoro: “mi ha chiesto se ero propenso a farmi rompere entrambe le braccia. Il mio compenso sarebbe stato di mille euro subito ed il 30% di quanto liquidato dall’assicurazione, lasciandomi intendere che la mia parcella finale sarebbe stata di circa 30mila euro”.
Cifre confermate dalla Calvaruso, che agli investigatori ha svelato il ‘tariffario’ delle organizzazioni. “Se fossi stata disposta a farmi rompere un solo arto avrei potuto riscuotere subito 300 euro; se mi fossi fatta rompere un braccio e una gamba avrei potuto incassare 800 e se fossi stata disposta a farmi fratturare tutti gli arti mi avrebbero pagato 1000…più ossa mi facevo rompere maggiore sarebbe stato il guadagno per me…inoltre avrei avuto diritto al 30% del premio totale versato dall’assicurazione”.
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