“Ti rissi no”, ovvero tradotto in italiano “Ti ho detto di no”. Questo lo slogan ripetuto dai manifestanti che, questo pomeriggio, hanno partecipato al corteo indetto dal collettivo “Non una di meno“. Associazioni e liberi cittadini hanno sfilato fra le strade del centro di Palermo, partendo da piazza Bellini. Circa 200 i presenti che hanno tenuto ad attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema della violenza sulle donne.

La rabbia verso le istituzioni e la stampa

Non una di meno, protesta a Palermo

Siamo stanche e continueremo a riversare  la nostra rabbia nelle strade, fino a quando questo sistema capitalistico e patriarcale non sarà distrutto”, sostengono le rappresentanti del collettivo “Non una di meno”. I manifestanti hanno poi attaccato le istituzioni e il mondo della stampa, parlando apertamente di “pornografia del dolore” a proposito degli articoli dedicati al tema della violenza di genere. Parole dure e ribadite ieri con le scritte di protesta dipinte sui muri di una nota redazione giornalistica del capoluogo siciliano.

La necessità di un cambio culturale

Una lotta alla violenza di genere da condurre non solo su un piano normativo ma anche e soprattutto culturale. “Aumentare le pene non è sufficiente, ma è soltanto una pezza – sottolinea Claudia Bellomo -. Ogni volta che si decretano aumenti di pena, agendo solo sul piano punitivo, ci troviamo con più persone punite ma con le stesse persone uccise”. Come agire quindi? Agendo dalle giovani generazioni. “Ci vogliono più risorse per la prevenzione – evidenzia Maria Contimiglia -. C’è un fatto culturale che va ribaltato. Ci vuole un equilibrio diverso nei rapporti fra uomini e donne. Bisogna partire dalle scuole, da quelle dell’infanzia fino ai gradi superiori”.

La presa di coscienza del genere maschile

Un cambio culturale che deve inevitabilmente partire, secondo i manifestanti, da una presa di coscienza del genere maschile. “L’unico modo è fare delle manifestazioni a cui gli uomini, partecipando o assistendo tramite media o social, possano prendere coscienza del fatto che è una follia pensare che una persona possa appartenere ad un’altra. Ormai è una strage, non sono più casi episodici”, sostiene Antonino Cairoli.

 

 

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