Una marea di persone ha inondato ieri il centro storico di Palermo all’urlo di “Disarmiamo il patriarcato” in occasione della manifestazione contro la violenza di genere.

Presenti al corteo i nodi territoriali di Messina e Lamezia Terme visto che Palermo era una delle due tappe della manifestazione, oltre Roma, scelta per sottolineare anche come si viva in un periodo di anti meridionalismo “l’autonomia differenziata è strumento per ‘scartare’ il Meridione dalle infrastrutture promosse per il Nord, acuendo le differenze tra territori. Il Ponte sullo Stretto serve a rinvigorire la propaganda del progresso, speculare risorse, sistemare incarichi prestigiosi agli amici e fare da curriculum ad alcuni partiti al potere. Il tutto mentre le persone meridionali sono costrette a emigrare per sopravvivere” si legge in un documento di “Non una di Meno”.

La manifestazione

Una comunità eterogenea e compatta, radicale e autodeterminata, intrisa di amore e rabbia ha sfilato dietro lo striscione d’apertura non per mero ritualismo ma per reale necessità e urgenza di dissentire rispetto all’oppressivo stato attuale delle cose, per la demolizione del sistema patriarcale e la cultura dello stupro.
“Per Giulia e per tutte non basta il lutto! Sorella mia, distruggi tutto!” è l’urlo che ha accompagnato il corteo.

Un manifesto “politico”

“Le parole del ministro Valditara, che ha l’ardire di affermare che il patriarcato non esiste più nella nostra società e strumentalizza in chiave securitaria e razzista la violenza di genere, confermano l’urgenza di scendere in piazza.
Il patriarcato esiste, non è ideologia e il razzismo istituzionale non è la risposta. L’assassino, il violento, l’abusante sono figli della nostra società e hanno quasi sempre le chiavi di casa!
Il patriarcato esiste e la guerra è la sua più brutale espressione, riaffermando la legge della sopraffazione, del possesso, dello stupro. Sono le donne, i bambini, le persone lgbtqia+ a pagarne doppiamente il prezzo!” afferma Non una di Meno.
Diverse le tappe del corteo in cui si è dato voce ai bisogni negati, ai desideri oppressi e repressi, alle tante realtà che in alleanza con il movimento lavorano quotidianamente per il sovvertimento di un sistema sessista, omolesbobitransfobico, abilista, capitalista, razzista.

L’attacco alle istituzioni

“Il patriarcato si riproduce nel sistema sanitario in una formazione universitaria sessista, razzista e classista, sia nei contenuti che nei fatti. I corsi previsti dai piani di studio risentono di bias sessisti, transfobici e razziali, presenti spesso in primo luogo negli studi clinici, e quindi poi anche nella pratica medica. Rimangono quasi assenti dal percorso di studio le malattie invisibili e la preparazione alla cura delle persone trans. A questo quadro già estremamente violento si aggiunge l’ascesa delle associazioni pro-vita e anti- scelta, il loro insediamento nelle strutture pubbliche, nei consultori sempre più definanziati e carenti” dicono le studentesse di medicina.

La manifestazione si è snodata anche con una azione dimostrativa davanti la questura mentre in cattedrale Spazio Donna Zen ha aperto uno striscione con scritto “Tutte sosteniamo una” e punta i riflettori sulla marginalizzazione di chi vive i quartieri periferici della città trattati come luoghi da controllare e non come luoghi da curare alimentando esclusione e differenze.