La vicenda dell’affidamento dello stadio Barbera al Palermo, col solito immancabile corollario di polemiche politiche, è un vero pasticcio alla palermitana. Col retrogusto amaro della sensazione che il club sia stato trascinato, suo malgrado, al centro dell’ennesimo scontro tra opposizione consiliare e giunta comunale.
Lo stadio diventa campo per una disputa politica, invece che di una partita di calcio. Ma, diciamolo subito, nessuno dei contendenti di questo match tutto politico che si consuma a Palazzo delle Aquile, ci fa una gran figura. Sembra un nuovo capitolo della città che va contro sé stessa. E a pagarne le conseguenze rischiano di essere il club e, di riflesso, i tifosi.
Quando è ormai trascorso quasi un anno dalla nascita della nuova società, dopo un campionato giocato e vinto, alcuni consiglieri, “scoprono” in un dibattito d’aula scaturito dalla comunicazione dell’invio di una nota della dottoressa Rimedio, responsabile delle risorse immobiliari, che ribadiva una richiesta di gennaio di “restituzione” della convenzione con la Us Città di Palermo per l’uso del Barbera (e ribadita l’8 maggio), che non esiste, una convenzione di affidamento al nuovo club rosanero dello stadio.
Stadio che è, praticamente, l’unico impianto sportivo cittadino fruibile e praticabile, in un deserto di abbandono: vivo grazie anche al lavoro e all’attività del nuovo Palermo.
E nasce un caso. Dopo quegli interventi in consiglio, il Collegio dei revisori dei conti del Comune di Palermo ha inviato una nota piena di verbi al condizionale al Dirigente del Settore delle Risorse Immobiliari, al Capo Area dello Sviluppo Economico, al Sindaco, al Presidente del Consiglio Comunale, all’Assessore al Bilancio e al Ragioniere Generale segnalando che “è emerso che lo stadio ‘Barbera’ risulterebbe essere stato utilizzato ‘sine titulo’ e senza che, dal relativo utilizzo, sia stato riscosso dal Comune di Palermo alcun corrispettivo. Se la circostanza appresa fosse corrispondente a verità e, in questo caso, se non fosse legittimamente giustificata, potrebbero configurarsi gravi profili di criticità, suscettibili anche di lesione di diritti erariali”.
In pratica, secondo quella nota, la Ssd Palermo avrebbe giocato al Barbera senza pagare affitto al comune per l’uso dell’impianto e per la pubblicità esposta nello stadio.
Un corto circuito di comunicazioni formali e ufficiali, di passaggi di informazioni tra giunta, uffici comunali e consiglio che ha dell’incredibile e che innesca un meccanismo infernale capace di incidere negativamente sul futuro affidamento dello stadio in convenzione. E la disponibilità di un impianto dove giocare le gare di casa è condizione necessaria per l’iscrizione della squadra prossimo campionato.
Un guazzabuglio burocratico, politico e ora anche mediatico che crea ulteriore confusione, esaspera e confonde gli animi, dopo le polemiche interne alla società calcistica nate dalle dimissioni del vicepresidente Di Piazza che hanno disorientato e preoccupato i tifosi.
E, in tutto questo, la società che c’entra? A ben vedere, poco o nulla.
Il club, un anno fa, dopo aver vinto il bando per la creazione di una nuova squadra rosanero, si è semplicemente rivolto al comune, proprietario dello stadio, che lo ha “affidato” per un anno, spiegano gli assessori al Bilancio, D’Agostino e allo Sport, Petralia, nelle more della stipula di una nuova convenzione che determini anche il canone a carico del club. “La concessione non potrà ovviamente non tenere conto del fatto che la società usufruisce dello stadio, ed allo stesso tempo ne cura la manutenzione e la sicurezza, già dal 2019”, scrivono i due assessori, aggiungendo il dato più importante: “in atto non vi è alcuna concessione a titolo gratuito né alcuna omissione di pagamenti da parte di alcuno né altro motivo di polemica”..
Una convenzione tra comune e vecchia società, quella fallita, esisteva, anche se scaduta e prorogata di anno in anno. Il canone annuo era di oltre 300.000 euro. Ma è oggettivamente impensabile che una società nuova, diversa dal soggetto che sottoscrisse quell’accordo e che ha militato tra i dilettanti, possa essere chiamata a pagare quanto una società che militava in Serie A o in B, con le entrate infinitamente superiori che ne derivavano.
Se c’è qualcosa da chiarire è dalle parti del comune che va cercato, non altrove. Eppure, dalle dichiarazioni di certi consiglieri di opposizione pare esserci proprio il Palermo nel mirino, come se la società avesse voluto furbescamente approfittare della mancanza di una convenzione per guadagnarci; e, per dirla tutta, pare pure esserci un certo compiacimento, da parte di qualcuno, nell’immaginare certe conseguenze per la società di Mirri e Di Piazza.
Palermo ha rischiato di restare senza calcio, dopo la fine del club di Zamparini e, poi, dei Tuttolomondo, e ora, che la nuova società si riaffaccia al calcio professionistico pare che si faccia a gara per creare ostacoli e difficoltà.
Facciano in fretta, invece di alimentare polemiche, a Palazzo delle Aquile, a stilare una nuova convenzione, che salvaguardi l’interesse della collettività, perché lo stadio è un bene pubblico, da preservare e utilizzare al meglio, prevedendo un canone annuo adeguato alla categoria in cui milita la squadra, ma pure quello dei tifosi, consentendo di usufruire del Barbera per tornare a seguire le partite del Palermo. Chiaramente, quando le restrizioni da coronavirus lo renderanno possibile.
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