Respinge le accuse Antonio Ingroia.
“Sono finito nel tritacarne perché prima come magistrato e poi come amministratore sono stato innovatore e controcorrente”.
In una conferenza stampa on line l’ex pm Antonio Ingroia dà questa lettura alla vicenda giudiziaria culminata con la condanna per peculato a un anno e 10 mesi per un capo di imputazione e con l’assoluzione per l’altro.
Il caso è quello della società Sicilia e-servizi, partecipata dalla Regione, di cui Ingroia è stato amministratore e poi anche liquidatore. Secondo l’accusa, avrebbe incassato indennità di risultato che non gli spettavano (ma per questo punto il gup lo ha assolto) e, per effetto della sua residenza a Roma, avrebbe ottenuto la liquidazione delle spese di soggiorno a cui non avrebbe avuto diritto.
Questa seconda accusa viene giudicata da Ingroia “semplicemente ridicola”: non si può pretendere, dice, che “pagassi io spese connesse all’incarico che svolgevo”.
Ingroia sostiene poi di essere stato messo sotto accusa perché aveva avviato un processo di risanamento di una società che si era subito rivelata un “carrozzone mangiasoldi”. Aveva anche denunciato storture nella gestione di un bilancio di 80-100 milioni all’anno e licenziato “persone assunte con criteri clientelari oppure coinvolte in vicende giudiziarie” (qualcuno aveva discendenze mafiose) ma la Procura non avrebbe “mosso un dito” mentre la burocrazia e pezzi del governo guidato da Rosario Crocetta (con l’eccezione del governatore) avrebbero creato ostacoli alla sua opera di “innovatore controcorrente”.
Con il caso di Sicilia e-servizi, che gestiva i servizi informatici della Regione, si sarebbe ricomposto un quadro di ostilità e di veleni secondo un modello che Ingroia aveva conosciuto già a palazzo di giustizia in occasione delle più importanti inchieste sulle collusioni tra mafia e politica.
La condanna, conclude Ingroia, sarà appellata perché infondata e perché mette sotto accusa un uomo che con la sua azione moralizzatrice “si era creato molti nemici”.
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