In un solo anno e mezzo il movimento Cinquestelle ha perso milioni di voti. Sembrava dovesse inghiottire tutto l’arco politico, ed invece, oggi, il risultato delle regionali umbre fotografa l’immagine di un “partito” ben al di sotto della soglia simbolica a due cifre. Nello stesso arco di tempo la Lega di Salvini ha triplicato i suoi consensi, voto più, voto meno. E’ vera gloria quella di Salvini? E’ una china irreversibile quella intrapresa dai grillini?
Io credo di no. O almeno, ritengo che le analisi politiche vadano compiute oggi con metodi e strategie diverse. In un lasso di tempo sufficientemente ampio, le possibilità di sopravvivenza di ogni singolo organismo tende allo zero. Questa banale legge della vita organica può certamente essere applicata con coerenza anche agli organismi sociali. Vale a maggior ragione per i partiti che si contendono il consenso: l’elettorato, svincolato da ideologie e “ismi”, è una massa liquida ed umorale, un giorno ti offre la gloria per poi il giorno dopo mandarti l’avviso di sfratto. Per conferma, chiedere a Renzi.
E’ un fenomeno figlio del collasso della Prima Repubblica. Da quel momento in poi, possiamo contare decine e decine di aggregazioni grandi, medie e piccole letteralmente scomparse dal parterre politico, a prescindere dalla loro collocazione “ideologica” e strategica. Uno dei fattori che amplifica questo tsunami dei voti da un lato all’altro dell’arco politico è il modo in cui oggi si fa informazione.
Le reti social, i new media in generale, hanno cambiato le regole del gioco. Tutto cambia in tempo reale. Ciò che è vero oggi non sarà più vero domani. Per restare aggrappati al consenso e alle statistiche, molti leader hanno così ridotto le loro strategie ad una vera e propria asta on line. Seguendo i topic trend, grazie al lavoro di un esercito di analisti del web arruolati alla causa, i leader di partito non si occupano di progetti a lungo termine e ogni strategia di sviluppo seria viene sacrificata sull’altare dello share sul web e dell’audience. Soltanto così si spiegano alcuni “mantra” della politica odierna: credete veramente che il tema delle migrazioni sia così fondamentale per la tenuta delle Istituzioni?
Così, per mantenere alto l’indice di gradimento virtuale, scompaiono dall’agenda del dibattito pubblico le tematiche fondamentali. Lo si fa per un preciso disegno politico o per la mancanza di coraggio nell’affrontare i veri problemi del paese. L’esempio scolastico di questa narrativa rimossa è la “questione meridionale”. E’ stata totalmente epurata dall’immaginario collettivo, sostituita con palliativi come i concetti marginali e spesso incomprensibili come “autonomia differenziata”. E’ un grave errore: il Mezzogiorno è il vero nervo scoperto del Paese. Ogni politica futura ne dovrà tenere conto. Il Sud è marginale da tempo, sin dalla riscrittura dell’articolo 119 della Costituzione nel 2001, quando venne cassato nel Testo il termine “Mezzogiorno”. Non è stato un caso.
Negli anni poi, la massa del media mainstream ha demolito il Sud, con la definizione di spreconi, di casta nullafacente, di peso per l’economia del Paese. Molti soloni dell’economia hanno pensato bene di spiegare che il Sud contribuisce in maniera minore – parlando di gettito fiscale – al fabbisogno del Sistema Italia. Dato falso: è vero che in valore assoluto il Sud contribuisce in quantità minore, ma il dato va letto rispetto al Pil. Così, si scopre che la percentuale di risorse, versata da ogni regione italiana allo Stato centrale, è sostanzialmente omogenea in ogni angolo del Paese. Però tra Nord e Sud c’è un divario gigantesco in termini di servizi offerti: dalla Sanità, ai trasporti, per non dire delle politiche del lavoro e dello sviluppo.
Allora, come la mettiamo? In termini di prospettiva politica, tutti dovranno fare i conti con il Sud. Anche Salvini: che deve scegliere che ruolo giocare. Il futuro del Paese non può che passare dal rimettere in cima alle cose che contano il Mezzogiorno e la Questione meridionale.
Come si può convincere il Capitano ad accettare questa innegabile verità? Secondo me, una strada esiste. Ed è quella che possono percorrere i moderati del Meridione. Che sono “maggioranza”. Ecco, piuttosto che parlare di divisioni, serve uno sforzo di volontà, da parte di una classe politica obbligata a smettere di litigare. Perché, sarà anche banale, ma l’unione, come sempre, fa la forza.
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