Doveva tenersi la prossima settimana ma non è il caso di aspettare: si svolgerà domattina il vertice di maggioranza della Regione siciliana e si terrà in una sede istituzionale anche se fra quelle principali.
Partititi convocati domattina nella seconda sede della Presidenza della Regione, quella di via Magliocco, per un confronto che si muoverà su due direttrici: le elezioni a suffragio universale nelle ex province siciliane e le nomine di sottogoverno che sono pendenti da qui all’estate.
Province pomo della discordia
Il tema caldo sembra essere quello delle ex province. Appena l’altro ieri il governatore Renato Schifani, a margine della visita a Militello Val di Catania del Presidente della repubblica Sergio Mattarella, era tornato a ribadire l’esigenza di tornare all’elezione a suffragio universale per gli organi intermedi in modo da dare respiro all’amministrazione delle aree interne. Un ritorno alle province che è nel programma del governo Schifani. Una riforma che si è già provato ad approvare andando sotto nel 2023. Negli ultimi mesi del 2024, invece, si erano nuovamente stoppate le elezioni di secondo livello stabilendo un nuovo percorso di riforma per arrivare proprio all’elezione diretta.
Ma oggi Fratelli d’Italia dice no. Un no sorprendente visto che ricorrere ad elezioni di secondo livello sul fronte elettorale danneggia soprattutto i partiti che non fanno alleanze e, dunque, in Sicilia sono elezioni che non convengono a FdI a destra e ai 5 stelle a sinistra.
Da Roma, però, è arrivata una disposizione precisa proveniente dell’entourage della Meloni: per le province si vota nel 2026. Gli interessi del partito di maggioranza relativa, infatti, si snocciolano fra Italia centrale e settentrionale in questo senso. Se necessario le province siciliane possono essere sacrificate se non si riesce a rimandare ancora.
Tutti contro FdI
Ma l’ipotesi di ulteriori rinvii non è percorribile sia per problemi tecnici (già dichiarata incostituzionale la penultima legge che ha rinviato le elezioni ed è solo questione di tempo perché venga bocciata anche quella attualmente in vigore), sia per questioni politiche.
Schifani si è già espresso per il voto diretto e tutti i partiti della maggioranza sono d’accordo. Far passare il diktat di FdI rappresenterebbe un problema e rischierebbe di creare una spaccatura insanabile soprattutto con gli autonomisti che da un lato hanno bisogno di essere presenti nel territorio, dall’altro devono dare spazio e mettere alla prova anche l’alleanza a tre con Lagalla e Miccichè.
Il rischio frattura con Lombardo
Sul punto Lombardo e compagni non intendono cedere. Per loro la rappresentanza nel territori è elemento fondamentale e dopo aver perso il sottogoverno in sanità non si può prescindere dalla consultazione per le province a suffragio universale.
Se passasse il “no” di Fratelli d’Italia Lombardo si sentirebbe libero dagli impegni assunti e dunque potrebbe chiudere accordi diversi in varie province a cominciare da Siracusa dove in ballo c’è la candidatura del capo di gabinetto del sindaco Italia in una alleanza locale che guarda al centro sinistra. Situazione simile si creerebbe anche a Caltanissetta. Una vicenda che creerebbe i presupposto per un frattura nel centrodestra.
Il sottogoverno
C’è, poi, il tema della rappresentanza ufficiale che viene richiesta soprattutto da Noi Moderati. Il partito federato con Forza Italia vuole spazio in virtù degli accordi siglati a Roma e confermati a Palermo e alla luce del fatto che oggi può vantare anche un deputato regionale. non ci sono, dunque, più elementi ostativi. Se Lombardo non sente ragioni sulle province e un no sarebbe il pretesto per ritenersi “con le mani libere”, anche gli altri centristi sono pronti a presentare il conto.
L’equilibrio è precario ed una soluzione mediana va trovata
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