La Corte di giustizia Europea bacchetta lo Stato Italiano sul caso dell’archiviazione delle accuse al colonnello dei carabinieri Carmelo Canale. Si parla dell’ex fedelissimo di Paolo Borsellino, il magistrato ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio. La sua vicenda giudiziaria partiva da un’indagine aperta dalla Procura di Palermo nel 2012 in cui l’ufficiale veniva accusato di falso ideologico in atto pubblico. Lo avrebbe commesso, in quanto componente dei Ros, sull’omicidio dell’attivista di sinistra Peppino Impastato. Per lui avvenne l’archiviazione del caso ma nel farlo nel 2018 il Gip scrisse nell’ordinanza, come riporta il quotidiano “Il dubbio”, che ci sarebbe stata una “inequivocabilmente sua responsabilità penale, sebbene non giudizialmente accertata”. Contro l’archiviazione presentò ricorso lo stesso Canale, producendo documentazione a sua discolpa. Voleva l’assoluzione piena e quell’ordinanza di archiviazione non gli avrebbe dato giustizia.
I dubbi
La corte di Strasburgo solleva una serie di dubbi, a cominciare dal fatto che l’imputato avrebbe rinunciato alla prescrizione. Quindi sarebbe stato suo diritto avere un giudizio nel merito, anche per cancellare questa ombra che invece nell’atto di archiviazione rimane fortemente impressa. Canale era accusato di aver partecipato a quel depistaggio per la morte di Impastato. Morte che si voleva far passare come suicidio, con tanto di attentato dinamitardo. Invece nel tempo venne fuori che Impastato venne ucciso dalla mafia e la mafia tentò con pezzi dello Stato di farlo passare per altro. Secondo le indagini Canale con altri colleghi avrebbe attestato di aver trovato degli scritti sulle presunte intenzioni suicide di Impastato. Ma avrebbe invece omesso di aver trovato altra documentazione che andava in direzione totalmente opposta.
Il Gip nel 2018 cosa diceva
Sulla vicenda il Gip di Palermo Walter Turturici nel 2018 citò una nota del maggiore dei carabinieri Tito Baldo Honorati, che riguardava proprio le accuse, tra gli altri, a Carmelo Onorati. Il giudice sostenne che si sarebbe dovuto procedere a verifica dibattimentale della fondatezza delle imputazioni, anche se si decise per l’archiviazione. Accuse che riguardavano, oltre che Canale, anche i carabinieri Antonio Subranni, Francesco Abramo e Francesco Di Bono.
L’ipotesi smentita dalle indagini
Il Gip chiese di andare a fondo anche perché si andava delineando un quadro investigativo diverso che gettava ulteriori ombre. Nel citare il maggiore Honorati, si parlò dell’ipotesi di omicidio attribuito all’organizzazione mafiosa facente capo al boss Gaetano Badalamenti, operante nella zona di Cinisi. Secondo l’allora alto ufficiale tale ipotesi era stata avanzata e “strumentalizzata” da movimenti politici di estrema sinistra ma non ha trovato alcun riscontro investigativo. Venne anche puntato il dito sull’allora consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, Rocco Chinnici: “Lo stesso magistrato peraltro – aggiungeva Honorati – nell’ambito dell’istruttoria formale condotta con molto interessamento, non è riuscito a conseguire alcun elemento a carico di esponenti della mafia di Cinisi, tanto da concludere con un decreto di archiviazione per delitto ad opera dì ignoti”.
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