- Pensionati richiamati in servizio dalla Regione siciliana
- L’Ars si è pronunciata e ha approvato una norma che al momento li ‘salva’
- Consente loro di rimanere in pensione
- Plauso del Siad-Csa-Cisal che chiede però la riforma della pubblica amministrazione
Punto a favore dei pensionati della Regione siciliana nella ‘battaglia’ che li vede in campo proprio contro l’amministrazione regionale che li ha richiamati in servizio a causa di un vero e proprio ‘pasticcio’ in salsa siciliana.
“Adesso la riforma della pubblica amministrazione”
“Si è finalmente risolta la paradossale vicenda dei dipendenti regionali andati in pensione e richiamati in fretta e furia in ufficio: con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge 22 del 3 agosto, che abbiamo fortemente sollecitato, si evita quello che era ormai un pasticcio inutile e dannoso”. Lo dicono Giuseppe Badagliacca e Angelo Lo Curto del Siad-Csa-Cisal.
“Un rientro in servizio breve ed inutile”
“La norma – spiegano Badagliacca e Lo Curto – conferma la validità della cancellazione dai ruoli dei dipendenti andati in quiescenza nel 2020, anche alla luce del fatto che il rientro in servizio sarebbe stato così breve da risultare addirittura inutile. Ringraziamo l’assessore Marco Zambuto e il capo di gabinetto Silvio Cuffaro per essersi adoperati, ma adesso è arrivato il momento di affrontare la riforma di tutta la pubblica amministrazione regionale per valorizzare i lavoratori e offrire servizi efficienti ai siciliani”.
Il commento di un pensionato della Regione siciliana
Vincenzo Vella, ex dipendente della Regione siciliana, tra i richiamati in servizio commenta: “E’ stata pubblicata la norma che momentaneamente allontana l’improvvida e illegittima richiesta di riammissione in servizio dei pensionati. Oggi è giornata in cui è doveroso ringraziare tutti quelli a cui mi sono rivolto, magari a volte insistentemente. Non mi importa sapere chi si è veramente immedesimato e prodigato per il ripristino della giusta legalità. Oggi vi abbraccio perché so essere riconoscente anche quando sto dalla parte della ragione”.
“Trattati come i rifiuti”
Vi avevamo parlato qualche tempo fa della vicenda riguardante Vincenzo Vella, analoga a quella di tanti altri pensionati della Regione siciliana. E’ utile dunque ripercorrerla brevemente.
L’11 maggio di quest’anno Vincenzo Vella riceve una raccomandata che lo informa che deve tornare in servizio. Dapprima non crede ai suoi occhi. Poi, si confronta con altri ex colleghi, interpella il suo avvocato, fa ricerche su internet e viene a scoprire “che noi dipendenti regionali – ci aveva detto – siamo stati trattati come i rifiuti”.
Una laurea in Economia, funzionario direttivo, Vella, in pensione dal 16 aprile 2020, lavorava al Dipartimento degli Affari Extraregionali di via Magliocco a Palermo.
La legge regionale n.9 del 2015
Ma come ha inizio questa assurda vicenda che vede oggi gli ex dipendenti regionali richiamati in servizio? Dove nasce l’inghippo? Per comprenderlo bisogna partire dalle legge regionale n.9 del 2015. L’intento del legislatore è stato quello di riorganizzare l’amministrazione regionale al fine di contenere la spesa ordinaria del bilancio regionale, così come più volte richiesto dalla Corte dei Conti in sede di parifica. Una sorta di piano industriale nel quale si prevedeva la fuoriuscita di una parte corposa di dipendenti regionali, attraverso le modalità stabilite dall’articolo 52 della stessa legge, con l’obiettivo di ridurre concretamente il personale in servizio entro il 2020.
La legge riguardava coloro che erano stati assunti prima del 1986 e aveva non solo l’obiettivo di ridurre la spesa regionale ma anche quello di perseguire un ricambio generazionale nei ruoli dell’amministrazione regionale.
Il diritto alla pensione e la legge regionale del 2019
Nel 2015 Vella presenta la sua istanza per chiedere il pensionamento. Siccome la legge prevede due requisiti, età e contribuzione, a calcoli fatti, risulta che potrà andare in pensione il 4 gennaio 2020.
L’1 gennaio 2019, come previsto da una legge dello Stato, il ministero dell’Economia emana un decreto circa quella che viene definita “speranza di vita” utile ai fini dei calcoli dei requisti di accesso al pensionamento. Lo Stato fa questo adeguamento ogni due anni.
Nel 2019 viene stabilito in 5 mesi. Quindi la data di pensionamento di Vella si sposta al 4 giugno 2020.
Succede che alcuni regionali che maturavano il diritto alla pensione a partire dall’1 agosto 2020, sommando i 5 mesi, ‘sconfinano’ all’1 gennaio 2021, data in contrasto con quanto disposto dalla legge regionale n.9 del 2015, secondo cui tutto doveva concludersi entro il 31 dicembre 2020.
“A questo punto – ci aveva spiegato Vella – il legislatore siciliano interviene in una maniera che io definisco scellerata. Fa una norma in cui estende i benefici della Quota 100 degli statali anche ai dipendenti regionali, ai quali prima non era applicata. La legge stabiliva che i regionali sarebbero andati in pensione tre mesi dopo la data di maturazione del diritto”. La legge in questione è la n.14 del 6 agosto 2019, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana il 9 agosto 2019.
La legge però viene impugnata il 3 ottobre 2019 dal Consiglio dei Ministri.
L’intervento della Corte costituzionale e il ricorso della Regione
Sulla questione interviene la Corte costituzionale che dichiara l’incostituzionalità dell’articolo 7 comma 2 della legge regionale del 2019, con la sentenza n.235 del 22 ottobre 2020.
Nella sentenza si legge che “Quel che, però, più risalta, e decisamente rileva, è che, a fronte di così incisivi interventi nel settore previdenziale (sui trattamenti di pensione e su quelli di fine servizio) come quelli disciplinati dagli artt. 14 e 23 del d.l. n. 4 del 2019, che investono anche la platea dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e che hanno comportato per lo Stato ingenti oneri finanziari, la difesa regionale – nonostante che l’art. 7 denunciato estenda detti interventi ai dipendenti della Regione con una clausola di invarianza finanziaria – si limita a deduzioni affatto generiche e non del tutto concludenti quanto all’insussistenza di oneri a carico del bilancio regionale, in toto gravato (in via diretta o indiretta) dalla spesa per il trattamento di quiescenza e per l’indennità di fine servizio dei dipendenti della Regione. E ciò senza, appunto, fornire riscontro alcuno ai propri assunti”.
E ancora: “La resistente, a tal fine, si limita a richiamare a sostegno «la relazione tecnica depositata dall’ARS sull’articolo 9 del DDL 491, corrispondente all’impugnato art. 7 della legge regionale n. 14 del 2019, utilizzata poi dal competente Assessorato regionale nel controdedurre alle osservazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze»; tuttavia, non solo di tale relazione non si fornisce dettaglio alcuno, ma l’art. 9 citato riguarda tutt’altra materia, ossia quella delle «Convenzioni» relative al sistema di gestione del ciclo dei rifiuti.
Questa Corte (con la sentenza n. 227 del 2019), in tema di necessaria copertura finanziaria delle spese ai sensi dell’art. 81, terzo comma, Cost., ha già posto in rilievo come una legge “complessa” dovrebbe «essere corredata, quantomeno, da un quadro degli interventi integrati finanziabili, dall’indicazione delle risorse effettivamente disponibili a legislazione vigente, da studi di fattibilità di natura tecnica e finanziaria e dall’articolazione delle singole coperture finanziarie, tenendo conto del costo ipotizzato degli interventi finanziabili e delle risorse già disponibili»”.
Vella aveva insistito proprio su questo punto, sottolineando l’assurdità di quanto accaduto: “Gli avvocati della Regione, mandati a difendere i pensionati, non solo non hanno dato ‘motivazioni concludenti’, come dice la Corte, ma in mancanza di produzione della relazione di accompagnamento alla difesa, intendevano far valere quella già prodotta in tema di gestione dei rifiuti. Ci hanno trattato come rifiuti. E’ una vergogna e l’opinione pubblica deve saperlo”.
“Quanto accaduto è una violazione delle leggi”
Adesso, trascorsi i 60 giorni dalla pubblicazione della norma in Gazzetta ufficiale, (entro i quali il Consiglio dei Ministri potrebbe impugnare la legge), l’assessorato alla Funzione Pubblica dovrebbe annullare i decreti con i quali ha richiamato in servizio i pensionati. “Vedremo cosa accadrà – dice Vella -, bisogna anche capire come verranno redatti i decreti che ripristineranno lo status quo e la legalità. Quanto accaduto è una violazione delle leggi”. E ancora: “Ci sono numerose sentenze della Corte costituzionale, tra cui la numero 208 del 2014, che vede estensori Sergio Mattarella, Marta Cartabia e Sabino Cassese, che dice che in materia di pensioni, prevale il diritto del pensionato. In pratica, quando il pensionato ha già cessato il suo rapporto di lavoro con provvedimento definitivo, nessuno può più chiedergli nulla. La tutela del pensionato viene prima di ogni cosa, e la Corte Costituzionale lo ha ribadito più volte. Sentenze chiarissime che i dirigenti regionali sconoscono o si rifiutano di capire”.
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