C’è una reazione a catena che rischia di mettere in ginocchio la già disastrata sanità siciliana (e anche quella italiana). E’ il combinato disposto tra i Pronto Soccorso sotto assedio e la “medicina difensiva”, una tattica che appare come quella necessaria tutela che i medici della prima emergenza sono costretti ad attivare, per evitare di finire nel tritacarne mediatico, o peggio ancora, della Giustizia.
Medicina difensiva, quel granello di sabbia che inceppa la sanità
Tutto parte dall’assenza di una politica territoriale della sanità, con tutto il peso dei primi controlli che si scarica sui pronto soccorso, con decine di migliaia di accessi impropri ogni anno. Intasati, ingolfati, con pazienti e parenti (ingiustificatamente) inferociti che scatenano risse nei centri di prima emergenza, medici e sanitari si trovano perciò costretti ad attivare l’ultima tattica disponibile, la medicina “difensiva”. E’ una prassi che, secondo le stime di Toti Amato (presidente dell’Ordine dei Medici di Palermo) rischia di generare ogni anno, un extra costo, un danno da dieci miliardi di euro. E’ questo, in buona sintesi, l’alert lanciato da Toti Amato. Non è solo un danno economico monstre per l’Erario; la medicina difensiva è anche il granello di sabbia che inceppa il meccanismo della sanità italiana, e anche di quella siciliana ovviamente, mandando in tilt le liste d’attesa e creando disservizi a ogni livello.
Tutto parte, secondo l’analisi di Amato, dal caos dei Pronto Soccorso. La medicina difensiva, infatti, è quella prassi che costringe medici e personale sanitario dei centri di prima emergenza a ordinare una quantità esagerata di esami, inchieste diagnostiche e analisi ai pazienti che transitano dai pronto soccorso. Quei medici, sia chiaro, allo stato attuale non hanno alternativa. Sono con le spalle al muro.
“Quando una persona va al pronto soccorso -spiega Amato – e non c’è tempo di poter trarre una buona storia clinica del paziente, il medico, per paura di essere denunciato, fa attivare una serie di circuiti, tra cui risonanze, Tac ed altri esami diagnostici. Questo comporta una spesa enorme per esami. Ma il medico si deve proteggere da quelle che sono le denunce. Tutto questo si ripercuote anche sulle liste d’attesa, perchè bisogna pensare che quando una richiesta arriva dal pronto soccorso, gli esami vanno fatti immediatamente. E così le liste d’attesa tendono ad aumentare”.
Il risultato finale è il caos perfetto: Pronto soccorso bloccati con indici di occupabilità alle stelle, liste d’attesa intasate per dare, ovviamente priorità alle richieste che arrivano da quegli stessi Pronto soccorso e, per finire, costi decuplicati per la sanità pubblica. D’altronde, è bene ribadirlo, chi lavora al Pronto soccorso non può fare altrimenti. I pazienti arrivano a frotte e di loro non si conosce la storia clinica e sanitaria. Medici e personale sanitario, quindi, sono costretti a entrare in modalità difensiva. Lo si fa, quindi, non soltanto per evitare di incorrere in guai giudiziari. “Con le tecnologie che abbiamo a disposizione – indica Amato -è incomprensibile che la storia dil paziente ricominci da zero ogni volta al Pronto soccorso la storia del paziente ricominci da zero”.
Amato, “bisogna assumere medici”
Come si risolve questa situazione? Servono più medici, serve più personale sanitario. Per Amato non è sufficiente investire sulle strutture. Il cemento da solo non basta. Servono cervelli, cuori e polmoni. “È necessario ed urgente rafforzare le risorse che devono essere economiche ma anche strutturali. Ma bisogna fare ancor di più per le persone che devono lavorare. Se non si investe sul personale, siamo di nuovo a zero e corriamo il rischio di avere cattedrali nel deserto e la Sicilia non merita più altre cattedrali nel deserto”.
“Integrare territori e ospedali”
Ultimo aspetto da considerare è quella della medicina territoriale: “Se non lavoriamo per una reale integrazione tra territorio e ospedali, i nostri pronto soccorso saranno sempre sovraffollati”. Amato fa l’esempio di quanto accaduto col Covid in Lombardia: “tutti abbiamo negli occhi quello che è successo col Covid in Lombardia, con i camion militari pieni di bare. In Lombardia hanno fatto ospedali meravigliosi, grandissimi. Ma il territorio era deficiente, non c’era una struttura territoriale pronta ad accogliere. E’ stato un grande errore, e da questi errori bisogna imparare.
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