“In questi anni l’applicazione della legge Rognoni-La Torre ha mostrato significative e preoccupanti battute d’arresto su tutto il territorio nazionale. Alla lungimiranza della norma s’è affiancata una prassi stanca e poco felice che ha progressivamente svuotato lo spirito profondo e positivo dell’intuizione legislativa. I numeri sono severi e raccontano d’una applicazione che si è molto concentrata sul momento repressivo (sequestro e poi confisca del bene all’organizzazione mafiosa), accettando – con una sorta di fatalistica rassegnazione – che la fase propositiva e propulsiva della legge – ovvero la restituzione di quei beni al Paese come ricchezza sociale collettiva – finisse travolta nell’improvvisazione delle istituzioni e nella farraginosità della burocrazia”. E’ quanto si legge nella relazione dell’Antimafia siciliana sui beni a conclusione dell‘indagine parlamentare sui beni sequestrati e confiscati alla criminalità mafiosa.
L’istruttoria della commissione, presieduta da Claudio Fava, è durata circa otto mesi, con 51 sedute parlamentari e 71 audizioni. Dall’indagine, si legge nella relazione presentata in videoconferenza, “è emersa una volontà politica blanda, minore, quasi dimessa, che ha manifestato tutta la propria impotenza nel modo in cui per molti anni l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati è stata considerata un ente minore di sottogoverno al quale destinare poca attenzione, poche risorse e poco impegno”.
In base ai dati trasmessi, a gennaio, dall’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati all’Antimafia siciliana, risulta che in Sicilia solo 11 imprese, su un totale di 459 per le quali è stato portato a compimento l’iter gestorio da parte dell’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati, sono attive, il resto sono state destinate alla liquidazione. Una sorte altrettanto “infausta è destinata anche alle aziende attualmente in gestione: solo 39 su un totale di 780 risultano essere attive”. Per la commissione questi dati dimostrano che c’è “un enorme quantità di beni che potrebbero essere fattivamente restituiti alla collettività solo tramite un intervento dello Stato improntato alla massima efficienza ed efficacia; finalità che, attualmente, non risulta per nulla soddisfatta”.
Per la commissione “è un bilancio che emerge plasticamente dai consuntivi sull’attività svolta (pur con alcuni miglioramenti, nel corso del tempo, della performance gestionale): un altissimo tasso di mortalità delle aziende confiscate; la perdita di centinaia di posti di lavoro; episodici i casi di beni proficuamente affidati agli enti locali o ai soggetti del terzo settore a fronte di centinaia di immobili abbandonati, vandalizzati o, peggio, del tutto dimenticati; decine di terreni, strutture agricole, ville e appartamenti che continuano ad essere impunemente utilizzati ed abitati da coloro ai quali furono confiscati (con un danno economico e d’immagine, per lo Stato, di incalcolabile gravità)”.
“Di questo bilancio – evidenzia l’Antimafia – la Sicilia è la sintesi più dolente. Perché è qui, nell’isola, che sono allocate la maggior parte delle aziende e dei beni immobili sottratti all’economia mafiosa. Ed è anzitutto qui, in Sicilia, che sul destino finale di questi beni (recupero o fallimento; rilancio o definivo sabotaggio) si gioca la partita più difficile”.
“Le testimonianze raccolte, i dati analizzati, gli approfondimenti svolti da questa Commissione non lasciano dubbi: la disciplina sul sequestro e la confisca dei beni alle mafie pretende, subito, un investimento di volontà politica e di determinazione istituzionale che fino ad ora non c’è stato. La sensazione è che la norma, nella sua limpida astrattezza, abbia rappresentato l’alibi per troppi: siccome questo dice (o tace) la legge, dunque solo questo è ciò che ci compete fare! Ed anche quando il buon senso suggerirebbe altro, la norma è lì, implacabile, come una magnifica foglia di fico dietro la quale nascondere rassegnazioni, inerzie, formalismi e sciatterie. Il destino dell’Agenzia va ripensato. In punta di fatto, non solo di diritto”. Queste le conclusioni della relazione dell’Antimafia siciliana (191 pagine) sui beni sequestrati e confiscati alla criminalità mafiosa, presentata in videoconferenza dal relatore e presidente Claudio Fava. Ottomo mesi di indagine, 51 sedute parlamentari e 71 audizioni. Per l’Antimafia “attendere concorsi che non si svolgono per completare la pianta organica (e nel frattempo, come ci è stato detto, riempirla con funzionari ‘comandati’, spesso solo per poter ottenere un trasferimento verso città più gradite) richiama precise responsabilità di governo (di tutti i governi!)”. “Assumere la lotta alle mafie come priorità ma poi continuare a destinare all’Agenzia, che è il motore propulsivo di questa legge ed uno strumento fondamentale nella strategia di valorizzazione degli assets confiscati, pochi uomini, pochi mezzi, poche professionalità e poca attenzione è una scelta politica miope e incomprensibile – si legge nel documento approvato dalla Commissione parlamentare – Ritenere che la guida dell’Agenzia debba essere sempre e solo demandata a un prefetto, rinunziando alla possibilità di trovare profili professionali più ritagliati sulle urgenze e gli obiettivi che la legge affida all’Anbsc, è una prassi politica inadeguata alle sfide in campo e peraltro contrasta con lo spirito della riforma del 2017 che ha innovato sul punto prevedendo la possibilità di nominare il direttore anche tra magistrati o dirigenti dell’Agenzia del demanio”.
Si legge nella relazione: “È inconcepibile che ville e casali confiscati definitivamente da lustri siano ancora nella disponibilità dei mafiosi ai quali erano stati tolti, in un imbarazzante rimpallo di responsabilità fra Agenzia, amministratori giudiziari, forze dell’ordine, enti locali e prefetture per attivare le procedure di legge al fine di sgomberare quei beni”. “Abbiamo raccolto, nella denunzia di alcune volenterose associazioni, la storia di palazzine ed appartamenti confiscati e mai liberati da dieci o quindici anni – continua la Commissione regionale – È desolante vedere aziende chiudere, terreni agricoli marcire, edifici ridursi in macerie per un difetto di progetti, risorse, buon senso. Ogni bene confiscato e perduto è una vittoria per la mafia. Ma dircelo, o raccontarlo nei convegni, non è più sufficiente”.
“Appare imprescindibile e urgente dotarsi di una legge regionale sui beni sequestrati e confiscati che individui strumenti di intervento della Regione siciliana sulla materia e fissi pratiche” e “che nel rispetto delle competenze statali e nei limiti dunque di quelle regionali, disciplini in maniera sistematica il ruolo della Regione introducendo nell’ordinamento regionale gli opportuni istituti e prevedendo misure strutturali e non estemporanee”. E’ la proposta formulata dalla commissione Antimafia siciliana n Oltre a ddl regionale, l’Antimafia proporrà anche una legge-voto da trasmettere alle Camere.
Per la commissione Antimafia siciliana “l’operatività concreta di buona parte” degli strumenti normativi “non è stata all’altezza delle attese. Lo conferma, tra tutti, il dato imbarazzante di mortalità delle aziende sequestrate e confiscate”. E se “l’attuale disciplina del codice antimafia sembra voler superare approcci che guardino separatamente alle singole esperienze di gestione, per favorire la diffusione di dinamiche che diano spazio a letture di sistema e a percorsi di generale semplificazione” per l’Antimafia “tra norme disattese e criticità applicative l’immagine restituita appare ancora troppo distante dalle finalità perseguite dalla legge, sebbene sia migliorata nel corso del tempo la capacità gestionale dell’Agenzia”. Secondo la commissione “non mancano casi, poi, in cui è la prassi che ha reso inefficace quanto previsto dalla legge” come le vicende di alcuni beni immobili siti nei comuni di Palagonia e di Gravina di Catania: “abitazioni e terreni che, pur dopo il provvedimento di confisca, hanno continuato ad essere impunemente e tranquillamente occupati dai vecchi proprietari”. “Situazioni paradossali ma non isolate che hanno messo a nudo, da un lato, le fragilità degli strumenti pensati per favorire la concreta liberazione dei beni sequestrati e confiscati e, dall’altro – si legge nella relazione – le inerzie e le inefficienze che accompagnano spesso l’attività dei coadiutori, nonché l’assoluta mancanza, almeno in alcune circostanze, di collegamento informativo ed interattivo tra quest’ultimi e l’Agenzia”.
“Un check approfondito della situazione, ovvero i limiti della legge, i difetti di interpretazione, le fragilità organizzative, la povertà di strumenti, l’inadeguatezza di organici, la preparazione sommaria di molti stakeholders, l’assenza di censimenti aggiornati, la mancanza di risorse economiche ed umane, la scarsa capacità di iniziativa degli enti locali, la farraginosità di talune procedure, la mancata applicazione di altre, fino ai rischi – concreti, concretissimi – di nuove aggressioni mafiose”. E’ quanto suggerisce di avviare con urgenza la commissione Antimafia siciliana.
“Il quadro è preoccupante – sostiene l’Antimafia – ma non è compromesso. Anche per la determinazione con cui talune parti si impegnano quotidianamente per restituire dignità e utilità a questa legge: pensiamo al lavoro faticoso, e con scarsità di mezzi, che svolgono oggi le sezioni per le misure di prevenzione dei Tribunali siciliani, e allo scatto di reni con cui hanno saputo lasciarsi alle spalle le tossine e le miserie della vicenda Saguto. Ma pensiamo anche alle associazioni del terzo settore che spesso hanno svolto anche funzioni di supplenza (nel censimento, nella denunzia, nella proposta) rispetto ad altre figure istituzionali a cui quelle funzioni erano affidate”.
“Il breve incontro fra Montante e l’Agenzia è ormai storia archiviata. Resta un dubbio, che questa relazione oggi raccoglie: quella nomina fu solo casualità, il mero risultato di una somma di sviste istituzionali? E per Montante, entrare nel direttivo dell’Agenzia era davvero solo un’altra medaglia da appendersi al petto, peraltro già sovraccarico di titoli, prebende ed encomi? In altri termini: c’è stato attraverso Montante il tentativo di dar la scalata all’Agenzia, alle possibilità di speculazione privata che avrebbe potuto offrire la gestione della più grande holding italiana, proprietaria di quattromila aziende e di decine di migliaia di beni immobili?”.
“La sensazione è che la riforma del sistema dei beni sequestrati e confiscati, seguita al caso Saguto, sia servita a mettere la polvere sotto il tappeto. Il caso Saguto appare come un’occasione perduta. Serve la volontà politica per intervenire in modo netto e dotare l’Agenzia nazionale intanto di personale essendo sotto organico: vorremmo sapere se per il governo Draghi questo tema sia una priorità”. Così il presidente dell’Antimafia siciliana, Claudio Fava.