Qual è il destino dei libri? Continueranno a essere stampati e a costituire fonti insostituibili di saperi? Oppure scompariranno e con essi la cultura e gli uomini che di cultura si nutrono e che la cultura diffondono?
Questi inquietanti interrogativi suscita la lettura del piccolo volume di Salvatore Cangelosi “Basco blu” edito da Torri del Vento.
Li suscita perché “Basco blu” è scritto da un libraio di lunga esperienza, Salvatore Cangelosi, che, senza abbandonare il suo mestiere (attualmente lavora alla Feltrinelli), da ultimo si dedica a scrivere sui libri, sul loro fascino e sugli orizzonti che essi ampliano in chi se ne occupa.
E perché “Basco blu” è il ricordo di Ubaldo Mirabelli, come evidenziato dal sottotitolo, di un uomo cioè che mangiava pane e libri e che era l’incarnazione dell’erudizione e della cultura.
In “Basco blu” il ricordo di Ubaldo Mirabelli parte dalla fine degli anni ’70. In quel periodo Cangelosi iniziava la sua avventura di libraio a Palermo presso la libreria Ciuni in via Sciuti. Fu allora che il giovane libraio ebbe la ventura d’imbattersi in un assiduo frequentatore di librerie e in un mostro sacro del sapere qual era Ubaldo Mirabelli.
In Cangelosi, poco più che vent’enne, quell’uomo così austero e autorevole, dal sapere enciclopedico, provocò, in un primo momento, timore reverenziale; poi, però, al rispetto e alla timidezza nell’accostarlo si sostituiscono la curiosità di conoscerlo, di scoprire che cosa si nascondeva dietro la sua immagine quasi ieratica.
Ed è così che tra il giovane libraio e il maturo intellettuale, in vari campi punto di riferimento dell’intellighentia palermitana, nacque un singolare legame che si solidificò col tempo e che attraversò le varie librerie in cui Cangelosi prestò servizio.
Mirabelli scese dal piedistallo, riconobbe in Cangelosi un ragazzo desideroso di aprirsi all’universo sconfinato della cultura e, mosso da simpatia nei suoi confronti, gli suggerì letture (tante volte ostiche per la loro oggettiva difficoltà), opere musicali da ascoltare, rappresentazioni teatrali da seguire; non solo: gli esternò anche giudizi su scrittori, poeti, musicisti stimolando in un giovane provinciale dagli studi non approfonditi la passione per il sapere.
“Basco blu” però non si limita a raccontare come è nato e come si è evoluto questo singolare rapporto tra uomini di estrazione culturale diversa, ma ci offre un ritratto di Ubaldo Mirabelli. Una figura la sua che tende purtroppo a essere dimenticata e che – peggio- rischia di divenire, in un Paese tendenzialmente indifferente al valore della cultura, sempre più anacronistica.
Mirabelli, palermitano del ’21, insegnò all’Accedemia di Belle Arti e al Liceo Classico Vittorio Emanuele II di Palermo; intenditore di musica come pochi (frequentò da giovane la casa di Bebbuzzo Sgradari, eccentrico aristocratico amico di Tomasi di Lampedusa e critico musicale del Giornale di Sicilia) fu sovrintendente del Teatro Massimo dal ’77 al ’95 prima della riapertura; collaborò al Giornale di Sicilia con articoli di varia ispirazione, anche di politica internazionale di cui era un autentico esperto; fu un saggista acuto e profondo per quanto non particolarmente prolifico.
Il ritratto di Mirabelli è arricchito dalla postfazione di Piero Volante, che ci svela altri particolari sulla vita dedita alla cultura di un uomo di cui urge preservare la memoria affinché i libri e il sapere condito di umanità che contengono possano avere un futuro.