La piccola Ariele è morta in 16 giorni a causa di una infezione da Covid-19. Aveva solo 11 anni e il suo corpo, già debole per via di una malattia rara e congenita, non ha retto al terribile e insidioso virus. Alle 13 del 27 luglio il suo cuoricino ha smesso di battere. Ogni speranza è stata annullata in un sol attimo, lasciando nel profondo sconforto i genitori, i familiari ma anche i medici che hanno lottato fino alla fine per dare una speranza di vita alla bimba.
Troppo insidiosa la variante Delta. La piccola sarebbe stata contagiata dalla sorella di 16 anni che era appena tornata da un viaggio in Spagna. Ariele, risultata positiva poco dopo, non ce l’ha fatta e ora è un angelo. Il suo corpicino adesso è in una piccola bara bianca dentro l’obitorio dell’ospedale.
Sono i medici che ce l’hanno messa tutta per salvarla a parlare e a chiarire la vicenda che ruota attorno a questo dramma familiare, che colpisce un’intera comunità. “Sebbene la criticità della situazione era apparsa, da diversi giorni, in tutta la sua gravità questa morte ci colpisce forse più delle altre. L’infezione da Sars Co2 nella variante Delta ha definitivamente destabilizzato il precario equilibrio organico di una paziente che da anni soffriva di una patologia rara e congenita”. Queste le perole del direttore sanitario dell’azienda ospedaliera Civico Salvatore Requirez.
“La Direzione Strategica dell’Arnas Civico è, con sentito cordoglio, vicina ai genitori della piccola che per anni sono stati in prima linea nella difesa dei diritti delle associazioni e dei malati per gli interessi dei quali si battevano – aggiunge Requirez – Ma offre anche solidarietà e ringraziamento quanti tra medici, infermieri e operatori sanitari tutti si sono prodigati, in tutti questi anni, nell’assistenza alla piccola, sia a livello ambulatoriale che in reparto di ricovero, divenuta, nel tempo una persona di famiglia. Molti di loro, domani, chiudendo per sempre la sua cartella clinica, il suo diario ambulatoriale, leggeranno quel nome con commozione. Non sarà facile dimenticarlo. Anche quando quelle carte passeranno in archivio. Perché è il simbolo agghiacciante dell’atrocità di una malattia che non ha pietà di colpire le persone più deboli e indifese”.
Al momento nessuno può entrare dentro l’obitorio del nosocomio a causa delle norme anti Covid. “Non abbiamo nemmeno potuto accarezzarla”, dice la madre distrutta dal dolore. La stessa donna, seppur provata dalla gravissima perdita, ha avuto la forza di chiarire che la sua non è una famiglia “no vax”. “Non siamo no vax. Abbiamo solo perso tempo a vaccinarci. Volevamo capire meglio, dopo le notizie contraddittorie su AstraZeneca. Poi Ariele era stata male, come accadeva ciclicamente, e avevamo posticipato per assisterla. Ma ci stavamo organizzando per vaccinarci tutti”. Poi il ricovero e la tragedia.