Il 10 e l’11 maggio sono stati due giorni all’insegna di incontri, racconti e musica con Francesco Guccini, in visita a Palermo in occasione di un progetto curato dal conservatorio Alessandro Scarlatti su iniziativa del presidente Gandolfo Librizzi e del direttore Gregorio Bertolino.
Il noto cantautore modenese ha avuto un’agenda ricca di appuntamenti nel capoluogo. Nella mattina di venerdì ha incontrato la stampa e gli allievi del conservatorio, nel pomeriggio dello stesso giorno, allo Steri si è svolta la presentazione del libro “Francesco Guccini – Canzoni” di Gabriella Fenocchio, filologa e amica del cantautore.
Sabato mattina ha presenziato all’evento “Il Conservatorio interpreta Guccini” tenutosi al Politeama Garibaldi. Nell’esecuzione di alcuni celebri brani del cantautore si sono cimentati la Scuola Jazz, l’Orchestra a plettro, la Balarm Sax Orchestra, l’Ensemble di musica contemporanea e il Coro di voci bianche dell’Istituto con la partecipazione del cantastorie Salvo Piparo e del puparo Nicola Argento.
Durante la presentazione del libro, che è una raccolta di circa quaranta canzoni di cui l’autrice ha interpretato e commentato filologicamente i testi, il cantautore ha intrattenuto l’uditorio con aneddoti privati, retroscena e curiosità sulla sua lunga carriera da artista della parola.
Nato a Pavana, una piccola frazione pistoiese nell’appennino tosco-emiliano, all’età di 5 anni si trasferisce a Modena con la famiglia ma l’impatto non è positivo. “Sono nato tra i mulini e i castagni di quella civiltà contadina ormai scomparsa. Ho lasciato un condominio dove eravamo tutti parenti e mi sono trovato catapultato in un altro condominio dove non conoscevo nessuno. Fortunatamente, nel 2001, ho avuto l’occasione di tornare a vivere nella mia terra natale”.
Da diversi anni ha smesso di scrivere canzoni perché dice di non esserne più capace, ma non ha abbandonato la scrittura. L’attività di romanziere giallista lo tiene impegnato in questa seconda giovinezza. Non ha mancato di osservare, ovviamente, la differenza tra le due forme artistiche: “La canzone è sintesi, una gabbia rigida di rime e metrica, devi esprimere un concetto complesso in pochi versi. Il libro ti dà libertà, sei tu a dettare le regole e non viceversa.”
C’è stato ampio spazio alle domande del pubblico cui l’artista ha risposto sempre con autentica e naturale umiltà, confessando di non essersi mai considerato un professionista della canzone. “Non ho mai saputo scrivere su argomenti scelti da altri e con dei tempi prestabiliti. Molti miei colleghi hanno la capacità di chiudersi in casa per tre mesi e di sfornare il tormentone, io non ho mai saputo quando avrei iniziato a scrivere la prossima canzone e di quanto tempo avrei necessitato.”
Così accade che “L’avvelenata” prenda l’abbrivo nel bar di un amico e venga completata nel treno diretto a Bologna. “La locomotiva”, invece, è una corrente improvvisa ed inarrestabile che porta con sé tredici strofe in appena venti minuti.
Dopo i saluti finali l’artista si è concesso all’immancabile momento degli autografi di libri e cd.
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