“L’Anno Giudiziario che ci apprestiamo a inaugurare si apre da un lato con la consapevolezza della persistenza dell’emergenza sanitaria con la quale saremo purtroppo costretti a convivere forse ancora non per breve tempo e dall’altro con la speranza che sia stata finalmente avviata, partendo proprio dai danni umani e sociali causati dalla pandemia, una vera e propria rifondazione della Giustizia“. Così il presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca, nella relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2021, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.
“L’epidemia – prosegue Frasca – ha messo definitivamente a nudo le gravi criticità in cui versa la Giustizia: sono bastati i due mesi dell’inedito blocco dell’attività giudiziaria per arrestare il faticoso e lento processo di recupero avviato da un decennio e per determinare una inversione di rotta, fortunatamente temporanea ma al tempo stesso sintomatica del fatto che il sistema operasse al limite delle sue possibilità a prezzo di impegno dei suoi attori talvolta anche oltre il limite dell’esigibile”.
“Anzi si può ragionevolmente presumere nel prossimo periodo, anche in considerazione dell’annunciato incremento del PIL nazionale, un’espansione di tutte le attività con fini di lucro (dall’acquisizione di aziende al riciclaggio in ambito nazionale ed internazionale)”, si legge ancora.
“Il traffico degli stupefacenti gestito da Cosa nostra (e principale fonte di reddito di quest’ultima), nonostante il ‘martellamento’ costante delle operazioni anti-droga, a parte un modesto rallentamento nel periodo più acuto della crisi epidemiologica, non conosce crisi, anzi appare in espansione; si deve ritenere che il fenomeno sia strettamente legato a problematiche sociali e culturali, alla base della costante ‘domanda’, che non possono essere risolte solamente dall’attività repressiva; senza entrare nel merito circa il se, il quando e l’entità di eventuali innovazioni in materia (che spettano esclusivamente al Legislatore), si può ragionevolmente presumere che anche ‘l’annientamento’ di cosa nostra comporterebbe solamente un cambio di ‘gestione’ dei traffici ad opera di altre organizzazioni criminali”.
“Si registra un notevole incremento delle denunzie presentate dalle vittime di estorsione, caratterizzate dalla volontà di collaborare senza riserve con la giustizia; tale incremento, purtroppo si è manifestato a macchia di leopardo: mentre nel mandamento mafioso di Porta Nuova ben 15 imprenditori, soprattutto del settore edile, indicavano compiutamente gli autori dei reati, nel mandamento di Ciaculli – Brancaccio non una sola vittima di estorsione si è fatta avanti”.
“A seguito delle numerose condanne al termine del rito abbreviato e dell’applicazione di misura cautelare detentiva ad alcuni membri del vertice nazionale della associazione Black Axe, si può ritenere ‘smantellata’ la cellula associativa radicatasi a Ballarò”.
“Più in generale, si può affermare che la presenza di membri della Black Axe a Palermo è venuta meno, come attestato dal chiaro contenuto delle intercettazioni successive agli arresti, nel corso delle quali, i membri di altri cult (gli Eiye, anch’essi poi destinatari di un fermo di indiziato di delitto), esultavano per la scomparsa degli Aye (ossia dei membri della Black Axe) da Ballarò”.
Nel 2021 si è registrata “un’ampia ripresa degli sbarchi provenienti sia dalla rotta libica che da quella tunisina e, di converso, dalla difficoltà di svolgere tempestive indagini a causa della quarantena a cui vengono sottoposti i migranti sopraggiunti nonché dalla elevata difficoltà, per mancanza di adeguata collaborazione internazionale, di identificare compiutamente i responsabili e di eseguire i provvedimenti custodiali”.
“Proprio per approfondire la conoscenza delle singole zone africane in cui operano specifiche associazioni criminali, ad ogni componente del gruppo di lavoro, sulla falsariga di quanto avviene negli altri settori della D.D.A., è stato assegnato uno specifico territorio sì da consentire un osservatorio privilegiato e sempre più specialistico – si legge -. In tal modo, oltre a consolidare quanto già appreso tramite le indagini dell’anno passato che avevano permesso di delineare la peculiare fisionomia di tali associazioni e il loro modus operandi, è stato possibile aggiungere nuovi e rilevanti elementi che rilevano le peculiarità di siffatte organizzazioni”.
Un lavoro che ha “permesso una lettura unitaria delle diverse associazioni transnazionali che, inizialmente apparivano scollegate tra loro, riuscendo ora a individuare l’esistenza di una regia centralizzata e verticistica, riconducibile anche ad appartenenti alle Istituzioni libiche che governa e condiziona le attività dei numerosi gruppi criminali dediti all’immigrazione clandestina e alla tratta. Dalla lettura congiunta dei plurimi episodi (ma anche da risultanze di altri procedimenti), è stato possibile ipotizzare non solo la sussistenza, a monte, di un’organizzazione tunisina dedita al favoreggiamento dell’immigrazione, ma anche ritenere che essa abbia iniziato a operare in stretto contatto con i trafficanti libici”.
Gli uomini d’onore di Cosa nostra hanno “rafforzato la ‘funzione sociale’ al fine di mantenere il controllo del territorio di riferimento ed allargare la base del consenso, necessario, al pari della forza di intimidazione, per la sopravvivenza stessa dell’associazione”.
“Gli stessi – si legge – impongono le proprie decisioni per la risoluzione delle problematiche più varie, tra cui si indicano, solo a titolo esemplificativo, litigi familiari per motivi sentimentali, occupazioni abusive di case popolari, sfratti per mancati pagamenti di affitti, intercessioni per intraprendere attività economiche nel quartiere in contrapposizione ad altri soggetti, modalità e tempi di pagamento di debiti rimasti insoluti, recupero di beni oggetto di furto, il pieno controllo delle feste di quartiere (occupandosi dell’ingaggio dei cantanti neomelodici chiamati a esibirsi durante la manifestazione, al pagamento di questi e delle altre spese dell’organizzazione), nonché, in alcuni casi, anche il sostegno delle famiglie più bisognose mediante la fornitura, diretta o indiretta, di generi di prima necessità“.
“In provincia di Trapani, le indagini hanno registrato ancora il potere mafioso saldamente nelle mani della famiglia Messina Denaro. L’azione investigativa ha prodotto nell’anno alcuni arresti, anche vicinissimi al contesto relazionale del latitante”.
“Alcune indagini poi – si legge -, hanno svelato intrecci e cointeressenze tra il mondo imprenditoriale più vicino a Cosa nostra trapanese e il mondo della politica, con diverse indagini durante le quali sono state elevate imputazioni nei confronti di ex deputati regionali e nazionali, esponenti politici locali e canditati nelle diverse competizioni elettorali. Certamente grave e inquietante, anche al di là della rilevanza penale delle singole condotte, la riservata interlocuzione, registrata nel corso di diverse indagini preliminari, tra esponenti mafiosi e amministratori locali”.
“Consistenti pure le emergenze relative ai rapporti con alcuni dirigenti della burocrazia regionale, coinvolta, in alcune occasioni emerse dalle indagini nei confronti di soggetti contigui a Cosa nostra, in vicende corruttive di notevole rilievo”, si legge ancora.
“Sul territorio delle provincia di Agrigento oramai da almeno sei anni, si è verificata una serie di fatti di reato quali omicidi e tentati omicidi, nonché rinvenimento di veri e propri arsenali di armi, da cui desumere la progressiva recrudescenza di fatti criminosi di sangue nel territorio, dopo un periodo di sostanziale ‘silenzio’ da parte delle organizzazioni mafiose ivi operanti (sia cosa nostra che stidda) e la notevole disponibilità di armi da fuoco, anche del tipo da guerra (kalashnikov, esplosivi ed altro)”.
“Peraltro – si legge -, proprio con riferimento alla Stidda, è emerso dalle indagini svolte sino al febbraio 2021 che alcuni storici appartenenti ad essa, dopo avere ottenuto la declaratoria di ‘impossibilità’ della loro collaborazione, hanno sfruttato la disciplina premiale, prevista anche per i detenuti ergastolani, per ritornare ad agire sul territorio con i metodi già collaudati (ed accertati) in passato e così rivitalizzare una frangia criminale-mafiosa, quella della stidda, condannata da tempo all’estinzione, e proiettarla con spregiudicatezza e violenza nel territorio agrigentino in una competizione allo stato pacifica con Cosa nostra specie sul lucrosissimo, e dunque strategico, settore delle mediazioni nel mercato ortofrutticolo, uno dei pochi settori produttivi nella provincia di Agrigento”.
“Dalle indagini – prosegue la relazione – è inoltre emerso che Cosa nostra e stidda hanno sancito un accordo di pace tuttora vigente. Con riguardo alle altre fattispecie delittuose, sono stati registrati all’interno degli istituti penitenziari (ivi compresi quelli ove vengono allocati i detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41 bis O.P.), – in diverse occasioni – preoccupanti spazi di gravissima interazione fra detenuti, fra detenuti e l’esterno nonché fra detenuti e appartenenti alla polizia penitenziaria; interazione che l’attuale sistema penitenziario non è riuscito, in tali momenti, a evitare”.
“Anche nel campo della giurisdizione civile sono intervenute modifiche del codice di rito tanto suggestive quanto inefficaci senza una progettualità autentica e globale. E’ pressoché superfluo elencare le gravissime conseguenze della lentezza del processo civile, non soltanto sul versante dei diritti individuali controversi, ma anche come fattore di accentuazione di diseguaglianza a danno di chi non può attendere tempi lunghi, nonché sulle ricadute nel bilancio dello Stato esposto alle azioni risarcitorie ex lege Pinto, che in questo distretto solo nel 2021 hanno comportato un esborso di oltre 4.350.000 euro”.
“Oggi, finalmente – aggiunge -, si è compresa con iniziative concrete la necessità di intervenire con proposte organiche di riforma, che mostrano la consapevolezza che la ragionevole durata del processo è ancorata alla sua efficienza e che questa può essere assicurata solo attraverso la contestuale adozione di interventi a diverso livello e che operino sinergicamente”.
“Oggi – sottolinea Frasca – le risorse sono state individuate e stanno per essere messe a disposizione, per cui non è più possibile, per nessuno, chiamarsi fuori da un impegno straordinario che non può fermarsi dinanzi alle inevitabili difficoltà e che richiede uno sforzo condiviso da tutti i protagonisti della giurisdizione, magistrati e avvocati innanzitutto”.
“L’ufficio per il processo – prosegue il presidente della Corte d’Appello di Palermo – è il primo banco di prova di un nuovo modello di declinazione della giurisdizione. E’ il più immediato strumento che, tra luci e ombre, si propone di avviare la rivoluzione della giurisdizione e che non deve esaurire il proprio ruolo nel pur indispensabile compito di eliminare l’arretrato ma deve divenire, dopo la temporaneità imposta dalle direttive europee, una struttura stabile coessenziale all’efficace esercizio della giurisdizione”.
Poi ancora sulla riforma: “A questo primo intervento occorre affiancare le riforme del diritto processuale e del diritto sostanziale, la riforma ordinamentale e quella della P.A., la cui inefficienza è una concausa non di poco conto sulla entità del contenzioso civile: basti che nel 2021 il carico delle controversie civili nelle quali è parte la pubblica Amministrazione, esclusa la materia previdenziale, è stato in media nel distretto del 18% e tale percentuale diventa di ben il 30,3% se limitata al carico di lavoro della Corte di Appello”. Il cambiamento, per Frasca non serve solo a “dare una risposta alle urgenze imposte dal Fondo per la ripresa” ma a “costruire una Giustizia solida, efficiente ed efficace, di avviare l’altrettanto faticoso e necessario percorso di recupero della fiducia nell’amministrazione della Giustizia che ha raggiunto uno dei livelli più bassi della Storia di questo Paese”.
“Nel settore civile, dopo un anno caratterizzato da una tendenza negativa per tutti gli Uffici del distretto, con esclusione dei flussi relativi al Tribunale per i minorenni, si è registrato un incremento significativo non solo delle sopravvenienze (+6,2%) ma soprattutto delle definizioni (+16,6%), con conseguente riduzione della pendenza finale (-6,5%)”.
“Per quanto attiene al dato sulle controversie ultrabiennali in Corte di Appello, come meglio esposto in prosieguo, dopo un triennio di costante flessione, nell’Anno Giudiziario 2020-21 si rileva rispetto all’anno precedente un modesto incremento sia in percentuale (1,1%) sia in valore numerico (da 5.268 a 5.330). Più marcato, ancorché sempre contenuto, è stato l’incremento percentuale di procedimenti ultratriennali negli uffici di primo grado (2,7%)”.