Palermo

Arrestato Gaetano Savoca, “é l’erede del Papa di Ciaculli”

La polizia di Stato ha arrestato Gaetano Savoca, 57 anni, soprannominato il biondo. Savoca è figlio di Pino, storico capo di quel mandamento che a fasi alterne si è chiamato Ciaculli o Brancaccio, in base al personaggio autorevole che lo ha guidato. Un tempo, era Michele Greco, il “Papa”. Poi, Giuseppe Graviano, di Brancaccio.

Oggi, le indagini della Squadra mobile e della Sisco di Palermo coordinate dalla Dda diretta dal procuratore Maurizio de Lucia, dicono che al vertice del mandamento di Ciaculli ci sarebbe proprio Gaetano Savoca. E’ pure cognato di Andrea Adamo, ma anche di Benedetto Lo Verde. Insomma, un’onorata carriera mafiosa, che non si è mai interrotta. Nonostante per qualche tempo il boss fosse rimasto lontano da Palermo: nel 2011, aveva scelto di scontare la sorveglianza speciale a Cesenatico (provincia di Forlì-Cesena). Ma è servito a poco.

La Polizia di Stato, su delega della Dda di Palermo, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip nei confronti di Gaetano Savoca, 57, accusato associazione per delinquere di stampo mafioso con funzioni di direzione e coordinamento delle famiglie mafiose che compongono il mandamento di Brancaccio. Savoca è ritenuto l’erede del “Papa” di Ciaculli.

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Secondo le indagini l’indagato avrebbe continuato a gestire gli affari di cosa nostra  attraverso riservatissime riunioni ed incontri programmati con altri mafiosi, soprattutto nei settori delle estorsioni e del traffico di stupefacenti, impartendo disposizioni e direttive sulle modalità attuative delle attività illecite.

Le nuove indagini sono scaturite dopo l’omicidio lo scorso 26 febbraio di Giancarlo Romano uomo d’onore in forte ascesa all’interno della famiglia di Corso dei Mille, ed il ferimento di Alessio Salvo Caruso con il conseguente fermo di due indagati ritenuti responsabili, a vario titolo, del delitto.

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Il ritorno a Palermo

Nel febbraio 2018, Savoca è ritornato a Palermo. A giugno, accompagnava già Leandro Greco, il nipote del “Papa” in quel momento capo del mandamento, a un summit con Calogero Lo Piccolo, al vertice del mandamento di Tommaso Natale. E quella volta Savoca non era soltanto un accompagnatore, partecipò anche al summit. Qualche tempo dopo, incontrò invece un altro pezzo da novanta di Cosa nostra, Michele Micalizzi, autorevole mafioso di Partanna Mondello: quella volta c’era da sistemare una lite fra ex coniugi. I mafiosi sono tornati a svolgere la loro funzione criminale di sempre, la mediazione. Per questioni piccoli e grandi. Savoca e Micalizzi si incontrarono al bar Oceania.

L’indagine

Le intercettazioni disposte dalla procuratrice aggiunta Marzia Sabella, dalle sostitute Francesca Mazzocco e Francesca Dessì, hanno continuato a raccontare la vita quotidiana di Cosa nostra oggi. Savoca decise di sospendere un esattore del pizzo che non dava più garanzie di serietà. Non ci sono più i mafiosi di una volta. Scoppiò anche un caso per il mancato mantenimento della famiglia del detenuto Amedeo Florulli, anche lui mafioso e come tale coperto dalla cassa assistenza di Cosa nostra. Pure il welfare mafioso è in crisi. E allora qualcuno invocava “Gaetano” perché mettesse tutto a posto. Da buon capo del mandamento, Savoca avrebbe curato anche l’inserimento di alcuni nomi di fiducia «in una cooperativa della ferrovia», così dicevano nelle intercettazioni.

L’omicidio

Cosa nostra continua ad esercitare una pressione profonda nella zona orientale della città. Un segnale preoccupante era arrivato con l’omicidio di Giancarlo Romano, ucciso il 26 febbraio scorso.

“Noi abbiamo degli scopi, abbiamo degli ideali dentro che non dobbiamo fare morire mai…– diceva a gran voce Romano un sera di fine ottobre dell’anno scorso, intercettato dai carabinieri del nucleo Investigativo mentre parlava ad alcuni complici – e preghiamo il Signore che certe cose non finiscano mai… noi sappiamo perché siamo contro lo Stato, contro la polizia». Faceva una pausa e arringava ancora: “Il nostro è tutto un altro mondo, quello che vogliono fare loro è invece confondere la delinquenza con i nostri ideali – si scagliava contro i giornalisti che scrivono di mafia – perché la delinquenza serve a portare l’opinione pubblica a favore loro». I padrini provano a rifarsi un’immagine, rilanciando l’impostura che la vera Cosa nostra è la mafia buona. «Non è quello che ho vissuto che mi ha fatto diventare quello che sono – sosteneva Romano – perché ci sono nato. Quello che ho vissuto certamente mi ha dato delle esperienze, mi ha dato il carattere, ma ci sono nato, cioè io pure se ero a Milano ero così”.

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