Palermo

Appalti truccati in cambio di mazzette, perchè i manager sono stati condannati

La Corte d’Appello di Palermo ha confermato le condanne per corruzione nell’ambito dell’inchiesta “Sorella Sanità“, riguardante appalti truccati nella sanità siciliana. Come si legge sul Giornale di Sicilia, le motivazioni della sentenza, depositate dalla prima sezione presieduta da Adriana Piras, dipingono un quadro desolante di malaffare e arricchimento illecito ai danni delle risorse pubbliche. L’inchiesta ha svelato un sistema complesso, orchestrato da dirigenti, imprenditori e faccendieri, volto a pilotare appalti milionari a favore di aziende compiacenti. Il relatore Mario Conte ha dettagliatamente ricostruito il meccanismo corruttivo, evidenziando come gli imputati abbiano agito in spregio all’interesse pubblico, abusando delle proprie posizioni per ottenere vantaggi personali.

Alti dirigenti coinvolti

Le motivazioni della sentenza sottolineano il ruolo chiave di alti dirigenti dell’ASP (Azienda Sanitaria Provinciale), responsabili della gestione di appalti multimilionari. Questi dirigenti, invece di tutelare l’interesse pubblico, avrebbero utilizzato le proprie funzioni per scopi personali, ricattandosi a vicenda e manipolando le procedure di gara. L’inchiesta ha portato alla luce un “inquietante scenario” in cui la corruzione era diventata prassi consolidata, con grave danno per le casse pubbliche.

Conferma e aumento delle pene

In appello, le condanne sono state confermate per tutti gli imputati, e in alcuni casi persino aumentate rispetto al primo grado di giudizio. Antonio Candela, ex direttore generale dell’ASP e responsabile della cabina di regia regionale per il contrasto al Covid in Sicilia, è stato condannato a 7 anni e 4 mesi. Giuseppe Taibbi, faccendiere, ha ricevuto una pena di 6 anni e 4 mesi. Fabio Damiani, ex responsabile della centrale unica di committenza degli appalti in Sicilia e manager dell’ASP di Trapani, e Salvatore Manganaro, imprenditore agrigentino, sono stati condannati rispettivamente a 6 anni e mezzo e a 4 anni e 4 mesi. Damiani e Manganaro, dopo aver confessato i propri reati, hanno ottenuto le attenuanti, rivelando agli inquirenti dettagli sugli accordi illeciti, le mazzette e i metodi utilizzati per favorire determinate aziende.

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Confessioni e intercettazioni

Le confessioni di Damiani e Manganaro, unitamente alle intercettazioni telefoniche e ai messaggi acquisiti dagli inquirenti, hanno fornito un quadro completo del sistema corruttivo. È emerso uno stretto legame tra Damiani e Manganaro, basato su uno scambio continuo di informazioni sull’andamento delle gare d’appalto. Le prove raccolte hanno dimostrato la responsabilità degli imputati, confermando l’esistenza di un sistema di corruzione diffuso all’interno del sistema sanitario regionale.

Minacce e pressioni

L’inchiesta ha rivelato anche episodi di minacce e pressioni esercitate da Antonio Candela su Fabio Damiani in relazione alla gara per la manutenzione delle apparecchiature elettromedicali. Secondo i giudici, Candela avrebbe fatto pesare la sua posizione apicale per favorire gli interessi di Taibbi e della società Tecnologie Sanitarie (TS), senza alcuna considerazione per la convenienza dell’azienda ospedaliera. Dalle intercettazioni è emersa anche la promessa di Taibbi di far entrare Candela nei servizi segreti, circostanza che, secondo i giudici, dimostrerebbe la disponibilità di Candela a “tutto pur di fare carriera”. Le condanne confermate in appello rappresentano un importante passo avanti nella lotta alla corruzione nella sanità siciliana.

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